Riforma costituzionale, un modello ci sarebbe

La più efficace propaganda contro il presidenzialismo non la stanno facendo Eddy Schlein o Giuseppe Conte ma la fa Giorgia Meloni stessa. Sembra un paradosso ma è la pura realtà. Il fatto è che la nostra premier parlando di questa riforma epocale dice di essere disponibile ad ascoltare l’opposizione (e ci mancherebbe non fosse così) per poi ribadire, con quel suo solito tono perentorio, che in assenza di un accordo intende in ogni modo andare avanti fino in fondo. Prendere o lasciare: perché questo è l’impegno preso con gli elettori.

Ecco, proprio questa idea che una presunta unzione popolare – peraltro concessa da una minoranza di cittadini, visto l’elevato astensionismo e i voti comunque ottenuti dall’opposizione – possa rappresentare il via libera per qualsiasi rivolgimento costituzionale mostra, chiaramente, limiti e pericoli di un eventuale sistema presidenziale.

Perché qualora ci fosse un presidente eletto dal popolo o l’elezione diretta del primo ministro, ci troveremmo di fronte ad una figura istituzionale che penserebbe di muoversi a suo totale piacimento, forte, per l’appunto, dell’”unzione” del suffragio universale sulla propria persona. E un primo ministro eletto dai cittadini metterebbe lo stesso facilmente in ombra un Capo dello Stato eletto dal Parlamento. In pratica, ci sarebbe un uomo solo al comando, cui non potrebbe più contrapporsi alcun potere di garanzia o di moderazione. Una situazione da evitare in modo assoluto.

Certo, qualcuno – non solo a destra (pensiamo ai renziani) – dirà che il presidenzialismo è pienamente compatibile con una normale democrazia. Tutto vero. In effetti il modello americano dispone di robusti contrappesi con un Congresso dotato di penetranti funzioni di controllo politico e legislativo e con un ampio decentramento di poteri garantito dall’assetto federale. Nel sistema semipresidenziale francese, il Capo dello Stato eletto a suffragio universale coesiste con un primo ministro da lui nominato ma che deve ricevere il sostegno del Parlamento e può essere rovesciato da una mozione di censura.

Ma se così stanno le cose sul piano giuridico, molto cambia se si osserva la realtà più da vicino. Si scopre allora che entrambi i sistemi – sia quello americano sia quello francese – da tempo non godono di ottima salute. Il contesto politico e sociale si è radicalizzato e il modello verticistico – tanto quello Washington quanto quello di Parigi – invece di rendere più fluidi i meccanismi istituzionali, finisce soltanto per attizzare i contrasti tra le forze in campo, mostrandosi strutturalmente inadatto a trovare qualche forma di accomodamento.

Per questo motivo, e a maggior ragione in un Paese ideologicamente complicato come il nostro, conviene rimanere nel classico solco parlamentare, così come disegnato dalla Costituzione. E nemmeno ci si deve incamminare verso l’elezione diretta del primo ministro. Soluzione adottata con scarsa fortuna da Israele dove l’instabilità – quattro tornate elettorali in due anni – regna sovrana. Non è dunque questa la strada da seguire.

Meglio, molto meglio, affidarsi ad un modello che da oltre settanta anni fornisce buona prova di stabilità governativa – che in fondo è quello che, giustamente, stiamo cercando – consentendo l’alternanza tra schieramenti diversi e favorendo persino l’unione tra i due partiti maggiori, per superare qualche momentanea difficoltà politica. Nove premier in sette decenni a garantire una continuità senza pari, con la sfiducia costruttiva come snodo di un possibile mutamento del quadro politico, ma solo se viene preventivamente allestita una coalizione alternativa. Situazione verificatasi soltanto una volta nel 1982.

L’avrete tutti capito, si sta parlando del modello tedesco dove governi stabili, legge elettorale proporzionale con soglia di sbarramento e federalismo solidale, offrono un buon risultato in termini di coesione sociale e democratica. Basta dunque solo copiarne gli aspetti essenziali, apportando, se del caso, qualche minimo aggiustamento alla nostra realtà. E il gioco della riforma è presto fatto. Non sappiamo cosa succederà, ma se la Meloni facesse questa scelta dimostrerebbe di essere una vera statista. Magari come Angela Merkel.

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