“Andrea Chénier” convince nonostante una regia disordinata

Nel cast dell’opera di Giordano, in scena al Teatro Municipale Valli di Reggio Emilia, spicca il soprano Saioa Hernández

Andrea Chénier di Umberto Giordano, in scena al Teatro Municipale Valli di Reggio Emilia, riscuote grande successo; opera retorica ed incoerente quanto si vuole nel trattare un dramma di ambiente storico calato nella Rivoluzione francese, eppure così ricca di musica e di appeal teatrale, da incontrare sempre i favori del pubblico, in barba ai giudizi spesso lapidari della critica. Certo metterla in scena ed eseguirla oggi è impresa non facile, ma l’allestimento, nato in coproduzione fra ben cinque teatri italiani (Teatro Comunale di Modena, Teatro Municipale di Piacenza, Teatro Municipale Valli di Reggio Emilia, Teatro Alighieri di Ravenna e Teatro Regio di Parma) ed uno straniero (Opéra di Toulon), finisce per mettere d’accordo tutti; bastano lo sventolio di bandiere tricolori, qualche testa mozza insanguinata e una ghigliottina in bella mostra per evocare un clima rivoluzionario di terrore che dilaga nelle piazze di Parigi (anche se in questo spettacolo tutto si svolge in ambienti chiusi), ma prima ancora prende le mosse dal lusso di palazzi nobiliari poco per volta depredati dal popolo in sommossa. Ed è come se la regia di Nicola Berloffa, con scene di Justin Arienti e costumi di Edoardo Russo, intenda vedere l’opera come un progressivo degradarsi della nobiltà sotto i colpi della rivoluzione, i cui effetti distruttivi sono già palesi nei salotti del primo atto, quando l’aristocrazia dovrebbe non avere ancora piena coscienza di quello che le accadrà, almeno fino all’irruzione in scena dei rivoltosi. Qui, invece, i servitori-dissidenti, poi rivoluzionari, sono da subito assiepati su praticabili lignei, osservando l’arrivo degli invitati al ricevimento in casa della Contessa di Coigny; una dimora che, ad apertura di sipario, già anticipa, con inevitabile incoerenza, lo sviluppo degli eventi e dove la servitù – non se ne comprende appunto il motivo – si mescola senza remora alcuna alla nobiltà.

Lo spettacolo appare via via più chiaro nel succedersi degli atti, ma resta incompiuto e non sempre lineare nelle sue scelte in bilico fra tradizione figurativa e volontà di sfruttare la storia a fini narrativi vagamente simbolici, all’interno di quadri d’ambiente, come si è detto svolti tutti in interni, che divengono specchio di un dissesto rivoluzionario soggetto a libertà registiche poco plausibili e non sempre comprensibili. Eccone due esempi, scelti fra molti: la gavotta del primo atto danzata in solitudine (ci si chiede dove siano finiti tutti gli invitati alla festa), prima che la Contessa venga brutalmente infilzata da alcuni servitori in rivolta armati di picca; il popolo di Parigi che percuote i condannati nella scena del tribunale rivoluzionario del terzo atto invece di limitarsi ad assistere, seppur chiassosamente, alla sentenza dei giudici.

Al disordine dello spettacolo si affianca la direzione sicura ma piuttosto incolore di Aldo Sisillo, alla testa dell’Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna, che dimentica di donare avvincente gioco di dinamiche e colori a questo dramma storico magniloquente e, forse per paura di accentuare i toni della retorica rivoluzionaria e l’infuocata passione di certe pagine, edulcora il tutto riconducendolo ad un magma sonoro stinto e privo di midollo teatrale.

Il cast vocale, tenuto conto che mettere in scena un’opera come questa è oggi impresa quasi eroica, regge all’impegno al quale è chiamato. Il tenore Martin Muehle non è certo uno Chénier capace di entusiasmare, eppure si disimpegna con professionalità. Inizia abbastanza bene e canta facendo fruttare una voce che risolve la declamazione dell’Improvviso con discreto slancio. Nel corso dell’opera appare impreciso in alcuni attacchi ed arriva piuttosto stanco alle strofe di “Come un bel dì di maggio”. La sensazione è che affronti tutta l’opera confidando sulla naturale facilità della voce ad espandersi, anche in acuto, ma giocando in difesa sul versante di un’espressività e di un fraseggio alquanto sommari nel delineare la figura idealizzata di cantore che crede nel potere salvifico dei versi ed è innamorato di Maddalena con uno slancio passionale proprio solo ai poeti.

All’opposto Claudio Sgura è un Carlo Gérard di bella presenza scenica anche se alquanto compassata, che ha l’intelligenza di costruire il personaggio senza eccessi tribunizi, sia nel gesto scenico che nella voce, quest’ultima talvolta granulosa nel timbro e un po’ rigida in acuto, eppure capace di delineare con estrema musicalità e gusto un personaggio al quale dona un sorvegliato rilievo espressivo, mai scontato.

Ma su tutti, inutile negarlo, spicca la Maddalena di Coigny di Saioa Hernández. Dopo le prove nei teatri emiliani ne La Wally di Catalani e ne La Gioconda di Ponchielli, che l’hanno messa in luce e poi accompagnata al brillante debutto alla Scala come Odabella nell’Attila di Verdi che ha aperto la stagione, affronta per la prima volta questa parte, perfettamente attinente alle sue qualità vocali, e si conferma fra i soprani più interessanti del momento. Sfoggia una voce rigogliosa e piena, capace di infiammare l’arcata melodica avvolgendola di un suono denso e solido in acuto. Il controllo della linea vocale è impeccabile e ne “La mamma morta” coinvolge per la capacità di piegare uno strumento per natura generoso di suono al canto più intimo e raccolto, con una partecipazione emotivamente sempre commossa e ricca di pathos. Nei duetti con Chénier spicca di luce propria e se è pur vero che la si ammira per lo slancio vocale più che per per le intime frasi d’amore, questo non significa che la sua Maddalena sia poco rifinita, ma piuttosto in perfetto equilibro fra la femminilità del personaggio che passa dalle frivolezze mai ostentate del primo atto alle difficoltà della donna che, uscita dalla campana protettiva dei previlegi aristocratici, deve badare a se stessa senza dimenticare la passione che la vuole donna matura, pronta a seguire i propri sentimenti fino a sacrificarsi per amore. Questa evoluzione, mirabilmente gestita sul versante sia vocale che espressivo, con partecipazione emotiva composta e mai inutilmente febbrile, fanno della sua Maddalena un personaggio a tutto tondo, sempre nel segno di un canto sorvegliato dal gusto e da una generosità vocale impetuosa.

Comprimari a corrente alternata, con i validi Stefano Marchisio, Roucher, Nazomi Kato, La mulatta Bersi e Antonella Colaianni, Madelon; funzionali gli altri: Shay Bloch, La Contessa di Coigny, Alex Martini, Pietro Fléville / Fouquier Tinville, Fellipe Oliveira, Il sanculotto Mathieu, Alfonso Zambuto, Un “Incredibile”, Roberto Carli, L’Abate, Stefano Cescatti, Schmidt e Luca Marcheselli, Il Maestro di Casa / Dumas.

La stagione del Teatro Municipale di Reggio Emilia attende ora la nuova produzione di Serse di Händel, altro importante frutto della collaborazione fra i teatri emiliani.

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