Se la crisi ambientale diventa crisi alimentare

Negli ultimi anni si sono moltiplicati gli allarmi sul degrado ambientale, troppo spesso inascoltati. Ora però ne arriva uno che dovrebbe alzare il livello di attenzione e spingerci finalmente ad agire in maniera rapida e risoluta. Peccato che la notizia sia stata pressoché ignorata dagli organi di informazione, nonostante l’autorevolezza della fonte.

La FAO (Food and Agriculture Organization) emanazione delle Nazioni Unite che si occupa di agricoltura e nutrizione, ha pubblicato il suo Primo rapporto sullo stato della biodiversità nel mondo, che in sintesi arriva a una conclusione preoccupante: la perdita di biodiversità sta portando al collasso del sistema di produzione alimentare.

L’attuale modello di agricoltura, basato su monocolture estensive gestite in modo industriale, su cui si articola il nostro sistema alimentare, è a rischio, con tutto ciò che ne consegue in termini di disponibilità di cibo, sicurezza alimentare, salute dei consumatori.

La FAO ha evidenziato i danni catastrofici e irreversibili che negli ultimi decenni abbiamo procurato agli ecosistemi, distruggendo habitat, consumando terre destinate alle coltivazioni e sfruttando le risorse naturali in modo insostenibile. Questo atteggiamento predatorio e irresponsabile ha finito per impoverire la biodiversità del nostro pianeta e in particolare quella legata al cibo, con la progressiva riduzione delle tipologie di coltivazioni e allevamenti da cui dipende la nostra alimentazione.

L’allarme della branca dell’ONU che si occupa di nutrizione è stato ripreso in Italia da Slow Food, organizzazione che da anni si batte per la conservazione della biodiversità in campo agroalimentare, difendendo e recuperando “sapori & saperi” tradizionali e tipici che altrimenti rischierebbero di essere cancellati dalla massificazione del cibo imposta dalla globalizzazione selvaggia, improntata a massimizzare i profitti anche a scapito della qualità.

«Sono anni che Slow Food denuncia questi pericoli – ha commentato Piero Sardo, presidente della Fondazione Slow Food per la Biodiversità – e ogni tanto abbiamo avuto la sensazione di predicare nel vuoto. Oggi la situazione sta cambiando, ci pare che la gente sia più sensibile, ma forse non ci si rende conto della gravità del problema: un conto è una perdita, un conto è un collasso catastrofico». Per «evitare questa estinzione di massa» ha aggiunto «dobbiamo sperare di essere ancora in tempo ma abbiamo bisogno dell’impegno di tutti, non solo della Fao e di Slow Food, ma di tutta la gente di buona volontà».
 
Dal 1996 Slow Food è in prima linea per la salvaguardia della biodiversità e, conseguentemente, del nostro pianeta, con una serie di iniziative, a partire dall’Arca del Gusto, un catalogo di cibi a rischio di estinzione con ormai cinquemila prodotti censiti. Preziosi anche i Presìdi Slow Food, che tutelano agricoltori e produttori che lavorano nel rispetto dell’ambiente e conservano la biodiversità locale, privilegiando tradizione e qualità rispetto alla produzione industrializzata. Persone che vivono del proprio (duro) lavoro nei campi e che si possono incontrare all’interno di quella straordinaria manifestazione che è Terra Madre, il più grande evento mondiale legato alla cultura del cibo, che si tiene con cadenza biennale a Torino.

Soprattutto, da anni Slow Food denuncia l’insostenibilità dell’attuale modello di produzione e lavora insieme alla Fao per sviluppare un nuovo paradigma agroalimentare, basato su metodi di coltivazione naturali e rispettosi dell’ambiente, saperi della tradizione e produzioni di qualità, in grado di tutelare i consumatori, i produttori e il pianeta stesso.

Secondo il rapporto FAO, non resta più molto tempo per agire. Abbiamo circa dieci anni per invertire rotta, poi la situazione rischia di diventare irreversibile e causare un collasso della produzione e dell’approvvigionamento di cibo. E questo cambio di direzione, secondo Slow Food, «si può innescare rinforzando le conoscenze e le tecnologie moderne con i saperi tradizionali, ridefinendo il nostro approccio all’agricoltura e alla produzione di cibo, ponendo la tutela della biodiversità e l’ecologia al centro delle agende politiche. A ogni livello, dalle piccole produzioni fino ai governi, è necessario adottare regolamenti – come ad esempio le politiche agricole comunitarie in Europa – che proteggano la biodiversità alimentare e agricola. Non dobbiamo perdere le speranze che lo stato attuale possa cambiare. Il successo dei progetti di Slow Food ne è la prova. Dobbiamo agire insieme, e dobbiamo agire subito, per salvare il nostro cibo, per salvare il nostro pianeta, per salvarci».

Un appello accorato che ci sentiamo di condividere e rilanciare, consci del fatto che i danni causati dall’uomo all’ecosistema sono ormai tali da mettere in pericolo la nostra stessa sopravvivenza. Non si tratta di catastrofismo, ma di semplice constatazione di evidenze scientifiche ormai inoppugnabili, verificabili anche empiricamente. Un dato di fatto è, per esempio, la drastica riduzione degli insetti, causata dall’utilizzo di pesticidi in quantità industriale per debellare le cosiddette specie “nocive”.

Un termine privo di senso dal punto di vista eco-sistemico, che assume rilevanza solo in un’ottica economicista. Il problema è che alla lunga si è finito con lo sterminare anche gli insetti “utili”, in particolare gli impollinatori, da cui dipende la riproduzione di moltissimi vegetali. Significative in tal senso le stragi di api, che hanno messo a dura prova la produzione mellifera e l’azione di impollinazione svolta da queste preziose operaie. La causa è stata individuata nei pesticidi neonicotinoidi, che tuttavia è difficile mettere al bando, a causa dell’azione delle lobby dei fitofarmaci, che difendono a oltranza i propri prodotti, anche quando vengono individuati come tossici. Del resto, i produttori di pesticidi e concimi chimici sono gli stessi soggetti che controllano il mercato delle sementi, sia Ogm – geneticamente modificate – che tradizionali: un pugno di multinazionali che si spartiscono il 90% della torta, alla faccia del “mercato libero”.

Riduzione della biodiversità, abuso di chimica e ingegneria genetica, desertificazione e consumo del suolo, scomparsa degli impollinatori e variazioni climatiche stanno mettendo in serio pericolo il nostro sistema agroalimentare, rischiando di farlo implodere. Le conseguenze di una improvvisa carestia di cibo a livello globale sono intuibili nella loro gravità. Forse questa minaccia, la più insidiosa e potenzialmente devastante fra tutte le emergenze ecologiche, potrebbe essere quella in grado di svegliare le coscienze dei cittadini, spingendoli verso una più radicata consapevolezza ambientale, da declinare in azioni concrete di salvaguardia dell’ecosistema. O perlomeno c’è da sperarlo, vista la gravità dell’alternativa.

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