Dobbiamo cambiare, oltre che indignarci!

Anche se ormai archiviata, riprendo una questione che non ha di certo appassionato, ma che è importante ai fini di una normale vita democratica: a fine anno 2018 grande indignazione e un mare di critiche rispetto al metodo usato “per la prima volta” dal Governo, riguardo all’approvazione della Legge di Bilancio per il 2019.

“Cosa mai vista prima”. “Adesso si esagera”. “Hanno esautorato il Parlamento”. “Salvini e Di Maio hanno realizzato la riforma Renzi: il Senato è stato abolito”. “Hanno fatto peggio di Renzi: abolita anche la Camera”. Eccetera. Questi i commenti del generale dissenso per non avere consentito il dibattito sia in Commissione che in Aula.

In effetti, pur con la <giustificazione> di aver contrattato con le Istituzioni Comunitarie di Bruxelles per evitare la procedura d’infrazione, è la prima volta che la principale legge dello Stato viene fatta approvare con questa modalità; e ponendo lo stesso Presidente della Repubblica in una condizione sgradevole per la firma del provvedimento.

L’esercizio provvisorio avrebbe comportato limiti di spesa, sempre spiacevoli (compreso forse anche un momentaneo aumento dell’IVA); ma pochi giorni non avrebbero certo stravolto la vita degli italiani. Le forzature dei procedimenti legislativi sono sempre deleteri. Anche se, per la verità, non è la prima volta che il Parlamento  è posto di fronte a voti di fiducia, a tempi ristretti di discussione, a tagli del dibattito previsti dal regolamento per evitare ostruzionismi, ecc.

Al di là della vicenda “Legge di Bilancio 2019”, da tempo la mentalità comune e anche quella dei tecnici è degenerata verso il sostegno alla “governabilità” ad ogni costo. Le procedure democratiche sono vissute con fastidio dai governanti, e ritenute perdite di tempo dai cittadini. Le discussioni, i confronti, i ragionamenti approfonditi sono ritenuti ormai “roba vecchia”.

Le stesse riforme costituzionali, tentazione che si ripresenta ad ogni legislatura e ancor oggi in rampa di lancio, hanno (è solo una mia sensazione?) questo tarlo. La democrazia sembra diventata perdita di tempo; negli anni duemila e di fronte ad un mondo globalizzato che assume decisioni rapide a tutti i livelli, si sostiene che non è possibile né utile perdersi in tante, troppe discussioni; bisogna decidere in fretta per non essere presi in contropiede.

Lascio agli esperti e agli studiosi esprimersi su quali siano le priorità e le necessarie correzioni. Che ci sia da svecchiare è un fatto da non demonizzare. Da cittadino sono però preoccupato che, a volte senza le competenze necessarie e non ponderando l’equilibrio di poteri su cui poggia la nostra vita comune, si voglia con leggerezza abbandonare tutto il sistema costruito nel dopoguerra proprio per evitare le derive da cui si è usciti pagando con un dittatura e una guerra.

In genere chi propone di passare ad un regime Presidenziale (parlo sempre da uomo della strada), chi vuole abolire la doppia lettura delle leggi, chi ritiene un ferrovecchio il “senza vincolo di mandato” dei parlamentari, chi vede nei partiti qualcosa di inutile, chi pensa ai politici come ad una casta, chi non comprende il significato democratico del finanziamento pubblico (anziché i contributi privati di ambienti e imprese generalmente interessati) ha in mente un sistema democratico diverso da quello che i Padri della Patria hanno disegnato.

E’ possibile, e anche doveroso, ridurre il numero dei parlamentari e magari assegnare un compito diverso ad un ramo del Parlamento? E’ necessario sveltire le procedure decisionali, ed evitare al Governo di essere “ricattato” da “capricci” di qualche onorevole o senatore? Tutto è possibile, anche auspicabile! Ciò che non è accettabile è che si proceda pensando alla contingenza e senza sguardo lungo. Ciò che non è accettabile è mettere in crisi il sistema di pesi e contrappesi. Ciò che non si dovrebbe consentire è che ogni Governo possa sfuggire alle procedure e ai tempi previsti dalla normativa. Se si rispettano le procedure, la forma e la sostanza di ogni procedimento, sarà possibile impedire anche ostruzionismi, bagarre, carnevalate in Aula, disgustose scenate con cappi, mortadelle, magliette delle diverse tifoserie a cui abbiamo dovuto assistere sgomenti e rassegnati in tante occasioni.

Un ultima osservazione riguardo ai parlamentari. Essi sono eletti in una lista, in un partito; e sono tenuti ad osservare le decisioni che il proprio gruppo assume a maggioranza. Ma la coscienza (lo dico a proposito delle decisioni significative, su questioni etiche, e moralmente rilevanti) non può e non deve essere zittita, la libertà non può avere il collare, e nessun vincolo può essere imposto. Perciò il dissenso non deve essere represso. Ci sono casi di cambio interessato di maglia? Credo che passare da un gruppo all’altro, in genere, non sia un fatto positivo, anzi è spiacevole se non addirittura rivoltante; ma è preferibile l’infedeltà politica ad una forzata obbedienza. Non sarà con il vincolo burocratico-procedurale che si salvaguarda la tenuta delle maggioranze!

Ad esempio, il dissenso di sei (4 contrari e due astenuti) democristiani alla decisione di entrare in guerra sulla questione Kuwait, non è stata una furbizia o un modo di irrisione alle regole democratiche, ma una scelta limpida. Tutto ciò va difeso rispetto a qualunque riforma.

La cosa più importante è, però, che cambi l’idea di molti cittadini, prima ancora che dei politici e degli esperti, riguardo ai tempi richiesti dalla democrazia. E’ importante che cambiare mentalità l’opinione pubblica, che gli elettori non si affidino ciecamente ai comunicatori di turno che lanciano ricette di cambiamento. Perché ciò che più colpisce di tutta la vicenda è che nell’opinione pubblica non vi sia stata una reazione all’altezza della ferita inferta alle procedure e alla <forma>, che in democrazia è anche sostanza.

Evitiamo di guardare soltanto ad altri modelli. Pensiamo alla Francia: Macron (che con il 25% dei consensi diventa il padrone della Nazione) in pochi mesi è passato dalla grande affermazione alle incomprensioni e ai gilet gialli. Pensiamo alla Germania: un sistema che ha prodotto in settant’anni solo 9 Cancellieri, ma dove basta una serie di difficoltà elettorali locali a richiedere un passo indietro della Merkel, la quale sembrava inaffondabile.

Non sono solo i capi telegenici e osannati, o la rapidità delle decisioni, o la forza della rappresentatività che fanno funzionare una democrazia; ma anche i pesi e i contrappesi che consentono equilibrio nelle decisioni, possibilità di confronto, spazi per le minoranze, tempi per riflettere. Serve urgentemente una iniezione di cultura politica e istituzionale nel Paese (cittadini, organi di informazione, autorità pubbliche, partiti, associazionismo vario). Indignarsi ma, soprattutto, cambiare. Mentre pare che nessuno sia disposto a compiere autocritiche rispetto ad errori del passato prossimo: tutt’al più si criticano le scelte altrui. E il populismo vince!

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