Venezuela: un accordo tra la dittatura e i suoi oppositori come trenta anni fa in Cile

Per provare a districarsi nella complessa questione del Venezuela, tra il presidente della Repubblica in carica Nicolas Maduro e Juan Guaidò, presidente dell’Assemblea nazionale, che si è autoproclamato capo dello Stato ad interim, servirebbe applicare il vecchio detto “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”.

Fuor di metafora, da una parte vediamo Maduro appoggiato dal presidente russo Vladimir Putin, il ben noto invasore della Crimea, da quello cinese Xi Jinping, per finire, da quello turco, Recep Erdogan. Un trio che nulla ha a che vedere con la democrazia e i diritti umani. Dall’altra troviamo invece il presidente americano Donald Trump, quello francese, Emmanuel Macron e la cancelliera tedesca. Angela Merkel: tre leader che possono o meno piacere, ma di cui nessuno può mettere in dubbio l’ancoraggio democratico. Se dunque dal ginepraio venezuelano si potesse uscire semplicemente schierandosi da un lato o dall’altro del tavolo, sulla base della saggezza contenuta in quel vecchio proverbio, bisognerebbe stare con Guaidò, visto che con lui ci sono le grandi democrazie.

Nella realtà, le cose sono però molto più complicate e bene sta facendo il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte a mostrarsi cauto prima di sostenere apertamente uno dei due contendenti. Una prudenza che dovrebbe essere fatta propria anche da tutti gli altri leader mondiali, poiché questa contrapposizione in stile Guerra fredda può provocare molti danni, portando il Venezuela ad una vera e propria guerra civile. Per di più se il confronto tra le superpotenze, Stati Uniti da una parte e l’asse russo-cinese dall’altra, assumesse i contorni di una prova di forza, tra minacce di invasione o possibili blocchi navali, vi è il rischio che si giunga ad un’escalation militare in cui tutto – anche involontariamente – può poi sfuggire di mano.

Sarebbe pertanto opportuno, da parte della comunità internazionale, spingere i due leader Maduro e Guaidò a confrontarsi in nome della sola cosa che realmente conti: la popolazione venezuelana. Difficile, nel concreto, immaginare, quale pista seguire, se andare cioè a nuove elezioni o tentare la carta di un governo di garanzia che gestisca la transizione verso una normale democrazia e che soprattutto dia fiato ad una nazione sull’orlo di una drammatica carestia. Di certo, non è il momento di avanzare perentori ultimatum che avrebbero solo l’effetto di irrigidire il quadro, tarpando le ali, sul nascere, a qualunque via di uscita politica,

In tutta la vicenda resta comunque evidente il fallimento di Maduro e del regime chavista: una miscela di socialismo e nazionalismo, con enormi dosi di corruzione e di demagogia. Un regime che ha distrutto l’economia del Paese pur disponendo di una risorsa come il petrolio, con cui avrebbe potuto garantire sviluppo e benessere.

Adesso, con l’apporto internazionale, è il momento di risalire la china seguendo un percorso condiviso. Gli esempi positivi, anche in Sud America, non mancano. Nel 1988 in Cile, la giunta militare di Augusto Pinochet, al potere da quindici anni, e la Concertazione democratica, che raggruppava tutta l’opposizione, dai comunisti alla destra moderata, seppero avviare, tra mille insidie, il cammino verso la normalità democratica. Per il Venezuela di oggi, questa è la sola strada realmente praticabile per il bene di tutti.

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