Don Sturzo, un leader sempre attuale

Un incontro promosso dall’associazione I Popolari del Piemonte e dalla fondazione Carlo Donat-Cattin, si è svolto qualche settimana fa a Torino per ricordare la figura di don Luigi Sturzo, fondatore nel 1919, del Partito popolare italiano. Primo appuntamento di una serie di convegni che quest’anno, nel centenario, saranno incentrati sulla nascita del popolarismo e sull’ingresso dei cattolici nella politica italiana.

Nato a Caltagirone, in Sicilia, nel 1871, Sturzo unì alla vocazione religiosa quella, non meno forte, per la politica. Nel 1905 divenne sindaco della sua città natale, dando vita ad un municipalismo capace sia di andare oltre il vecchio campanilismo da strapaese, sia di superare il concetto stesso di comune, di vago stampo medievale, imbevuto di nostalgie corporativistiche, per realizzare una sorta di “macchina sociale” a tutela dei più deboli e di una visione inclusiva della società.

Proprio da questa esperienza municipale si alimenterà, dopo la rimozione del non expedit, che per espressa volontà del Papa vietava la partecipazione cattolica alla vita dello Stato, la futura presenza cattolica nell’arena pubblica italiana. Un’ispirazione di fondo che prendeva le mosse dalla Rerum Novarum e che fede del Ppi una forza riformista nel segno della Dottrina sociale della Chiesa. Nessun cedimento però, nonostante fosse un sacerdote, a qualsiasi deriva clericale: le due sfere, quella religiosa e quella politica, nell’idea sturziana, dovevano essere rigorosamente separate.

Il fascismo lo individuò presto come il suo principale nemico, anche per la potenziale capacità del neonato Partito popolare di meglio interpretare le esigenze della società, rispetto al vecchio, ed elitario, liberalismo, e ad un socialismo massimalista e parolaio, capace solo di spaventare i ceti medi. Così, anche su pressioni del Vaticano, interessato a venire, in qualche modo, a patti con Mussolini, il prete siciliano fu costretto all’esilio negli Stati Uniti. Rientrò in Italia solo nel 1946 a guerra finita, nel periodo in cui nascevano le nuove istituzioni democratiche. E nell’Italia del dopoguerra, nonostante la vittoria della Democrazia cristiana, erede del suo Partito popolare, si trovò spesso in dissenso con la nuova classe dirigente. Molti suoi principi, specialmente quelli legati alla libertà economica, come elemento di responsabilità della persona, entrarono in contrasto con la nuova generazione Dc, da Giuseppe Dossetti ad Amintore Fanfani, caratterizzata da una forte impronta statalista. Da qui una serie di incomprensioni che portarono l’anziano sacerdote ad isolarsi sempre più sino alla morte, avvenuta ad 88 anni, nel 1959.

Un pensiero, quello sturziano, che contiene molti richiami all’attualità, in particolare riguardo al municipalismo, come società che si governa dal basso, e al popolarismo, come concezione di una politica aperta alla partecipazione delle masse per includerle nella vita del Paese. Sturzo ammonisce che quando la politica e l’economia non sono sorrette da una forte etica perdono di razionalità e non servono ai bisogni dell’uomo; quasi l’anticipazione dell’attuale strapotere della finanza. E sin dagli anni Trenta, in piena ubriacatura nazionalista, ci parla della necessità di un’unione sovranazionale. Grandi intuizioni di un uomo che non fu capito dal suo tempo, ma che oggi può rivelarsi di bruciante attualità.

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