La riduzione della povertà passa dalle politiche economiche

Dal 1999 al 2013, il numero di persone nel mondo che vivono sotto la soglia di povertà estrema è pur sceso del 28%, passando da 1,7 miliardi a 767 milioni, ma i poveri restano ancora troppi, il 10% della popolazione mondiale. Nell’Unione Europea i poveri sono saliti a 117,5 milioni. Tanti sono le persone a rischio povertà o esclusione sociale, pari al 23,4% della popolazione, quasi un europeo su quattro. In Italia, nel 2017 le famiglie in povertà assoluta erano 1 milione e 778mila (6,9%) per un totale di 5 milioni e 58mila persone (8,4% dell’intera popolazione), il livello più alto dal 2005 (dati Istat e Eurostat).

Per contro nel mondo si registra una crisi del commercio per sovrapproduzione: ci sono troppi beni, tutti vogliono essere più competitivi a esportare, riducendo i salari e i diritti dei lavoratori e così facendo si abbassa la capacità di spesa delle famiglie e si alimenta la spirale dell’impoverimento del ceto medio. Mai tanta ricchezza, mai così mal distribuita. Anzi, per certi versi è addirittura inappropriato parlare di distribuzione, poiché la gran parte della ricchezza rimane immobilizzata in un sistema piramidale di concentrazione dei profitti che fa sì che quasi tutto vada nelle tasche di non più dello 0,01 della popolazione mondiale, mentre il resto dell’umanità, si spartisce, molto disugualmente, le briciole.

In un mondo così segnato dalla disuguaglianza, appare quanto mai opportuna la celebrazione della Giornata Mondiale dei Poveri, voluta da Papa Francesco e giunta quest’anno alla seconda edizione. “Il grido dei poveri – ha affermato il Pontefice – è il grido dei tanti Lazzaro che piangono, mentre pochi epuloni banchettano con quanto per giustizia spetta a tutti. L’ingiustizia è la radice perversa della povertà. Il grido dei poveri diventa ogni giorno più forte, ma ogni giorno meno ascoltato. Ogni giorno è più forte quel grido, ma ogni giorno è meno ascoltato, sovrastato dal frastuono di pochi ricchi, che sono sempre di meno e sempre più ricchi”.

Un quadro efficace e impietoso del mondo attuale, in cui va collocata la lotta alla povertà. In ambito globale tale lotta è inserita fra i 17 obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.

L’ultimo rapporto dell’Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) che opera in Italia per l’adozione di politiche coerenti con gli obiettivi dell’agenda Onu, ci ricorda che nel nostro Paese la povertà relativa e assoluta è peggiorata.

Servono, dunque, misure specifiche di contrasto alla povertà, insieme a politiche economiche orientate a fermare la caduta del ceto medio nell’area di rischio di povertà. Occorre adottare politiche economiche in grado di superare la stagnazione dei salari e della domanda interna anziché di protrarla nel tempo e di aggravarla nelle dimensioni. Se si vogliono raggiungere risultati apprezzabili nella riduzione della povertà, occorre abbandonare un modo di concepire l’economia e i conti pubblici in funzione del primato della moneta sulla persona e sulla democrazia e dare, invece, priorità alla sostenibilità del vivere per tutti, alle dinamiche dell’economia reale, fatta di famiglie, aziende, stati i quali debbono avere la facoltà di fare da volano all’economia con investimenti per le necessarie opere pubbliche, per il lavoro e per il rafforzamento dello stato sociale. Perché, come ci ricorda John Maynard Keynes, “Non riuscirai mai a pareggiare il bilancio attraverso misure che riducono il reddito nazionale. Prenditi cura della disoccupazione, e il bilancio si prenderà cura di se stesso”.

In tal senso va anche la Dottrina sociale della Chiesa. Un recente documento della Congregazione per la Dottrina della Fede e del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, intitolato “Oeconomicae et pecuniariae quaestiones – Considerazioni per un discernimento etico circa alcuni aspetti dell’attuale sistema economico-finanziario” ribadisce la necessità che “il denaro deve servire, non governare”.

Il cardinal Gualtiero Bassetti, all’ultima Assemblea Generale della Cei, ha avvertito che “se l’Unione Europea ha a cuore soltanto la stabilità finanziaria, disinteressandosi di quella sociale e delle motivazioni che soggiacciono ai vincoli europei; se perde il gusto della cittadinanza comune e del metodo politico della cooperazione, non c’è poi un’Europa di riserva”.

Iniziative, indicazioni, moniti da parte della Gerarchia che dovrebbero infondere un maggior coraggio ai cattolici impegnati oggi nel sociale e in politica, a non avere dubbi nello schierarsi con il popolo e con i poveri, a servizio del bene comune, sull’esempio dato un secolo fa da grandi figure come Giuseppe Toniolo, di cui è appena ricorso il centenario della morte e di don Luigi Sturzo a un secolo dall’Appello ai Liberi e Forti.

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