Sì Tav: il potere scende in campo

E così Torino è scesa in Piazza. In una delle città più inquinate d’Europa e tra le più indebitate d’Italia, dove si tagliano servizi e sono sempre più scarse le risorse a disposizione (ma si trovano 16 milioni ogni anno per pagare alle banche i succosi interessi sui derivati), 30-40-50 mila persone, poco importa il numero esatto, fanno qualcosa, la gran parte di loro almeno, che mai avevano sperimentato prima: scendono in piazza a manifestare!

L’emozione della prima volta non scaturisce dalla difesa di un ideale o dalla rivendicazione di diritti, bensì dalla richiesta di un altro buco nelle montagne che ci separano dalla Francia, dentro il quale possano correre a 300 all’ora e incrociarsi nel nome del libero mercato mozzarelle e bottiglie di champagne, apportando ricchezza e benessere alla Sabaudia tutta. Così si dà una risposta seria e perbene ai brutti, sporchi e cattivi che da quasi trent’anni si oppongono al buco, impedendo un sano sviluppo della comunità.

A sostenere la discesa in campo, anzi, ad aizzarla, un bombardamento mediatico martellante, avvolgente, inquietante, perfettamente esplicativo di che cosa sia quella che qualcuno ha chiamato informazione di regime. Infatti, in questi anni giornaloni e Tg si sono ben guardati dallo sviluppare una seria operazione di approfondimento su cosa si celi dietro al Tav, sui numerosi motivi che sconsigliano l’opera: dai costi economici esorbitanti, agli impatti sul territorio e sulle falde acquifere, agli studi che dimostrano l’inutilità sostanziale dell’opera dato che i grandi flussi commerciali non passerebbero di lì neanche in prospettiva futura, alla presenza di una linea ferroviaria internazionale già operante in Valsusa e ancora oggi ampiamente sottoutilizzata.

Si è invece fatto di tutto per screditare chi a quell’opera si oppone: non qualche pericoloso anarco-insurrezionalista, ma il popolo di una valle, che da anni manifesta portando in strada giovani, famiglie, anziani. E che ha saputo aggregare in questa lotta persone di tutto il Paese, perché dire No al Tav significa dire Sì ad una diversa visione di società, che impiega le risorse dove davvero servono: mettere in sicurezza un territorio maltrattato, investire sul risparmio energetico, su manutenzione e rifacimento degli acquedotti, sullo sviluppo del trasporto pubblico; tutti interventi che creerebbero centinaia di migliaia di posti di lavoro e vantaggi per tutta la collettività.

Il No non riguarda solo una galleria; è un No ai potentati economici e speculativi, che una volta di più vogliono fare profitti scaricandone i costi sui bilanci pubblici. Interessi, questi, ben rappresentati da quei partiti che hanno promosso la manifestazione del 10 novembre. Da decenni al governo di questo Paese (e di Torino), lo hanno condotto nella situazione che è sotto gli occhi di chiunque abbia volontà di vedere (cosa che dovrebbe fare in primis una stampa davvero libera): disastro economico, debito alle stelle, devastazione del territorio, progressiva perdita di diritti faticosamente conquistati nel secolo scorso.

Una classe politica priva di credibilità, che si appella al “popolo” che sabato scorso e scesa in piazza, ma che di solito lo ignora. Basti pensare al risultato dei referendum del 2011: una chiara espressione dei cittadini per una gestione pubblica e senza scopo di lucro dell’acqua che, fin da subito, le varie maggioranze di governo hanno tentato di ignorare e calpestare con leggi che vanno nella direzione opposta. Le potentissime forze che sono entrate in campo a favore del TAV vogliono non solo costruire una galleria ma soprattutto schiacciare chi ha una concezione del mondo che si oppone alla loro. Contrastarle non sarà facile. Preparare una grande manifestazione il prossimo 8 dicembre significherà opporsi al Golia mediatico con la fionda dei volantinaggi, dei tam tam sui social, del passaparola. Con la piena consapevolezza di quale sia il vero cambiamento.

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