Ballata senza nome

In occasione del centenario dalla disfatta di Caporetto Massimo Bubola, musicista e coautore di personaggi del calibro di Fabrizio de André, è in libreria con “Ballata senza nome”, frutto del suo lavoro di ricerca e documentazione del patrimonio storico, artistico e musicale legato alla Prima Guerra Mondiale. Il libro, con concerto, è stato presentato nei giorni scorsi a Torino dalla Fondazione Donat Cattin, presso il Polo del ‘900, ospitato nel complesso juvarriano dei Quartieri Militari, dove trovano casa 19 Enti Partecipanti che rappresentano un punto di riferimento nella ricerca storica, sociale, economica e culturale del Novecento e nella salvaguardia dei valori della resistenza, della democrazia e delle libertà.

Bubola, nome di culto e figura centrale della musica d’autore italiana, è poeta, musicista, scrittore. Ha al suo attivo venti album che tracciano un percorso unico nella letteratura musicale del nostro Paese. Già alla fine degli anni Settanta, Bubola crea una poetica che si abbevera alla tradizione della musica popolare e alla poesia contemporanea, arrivando a maturare una forma musicale ricca di suggestioni letterarie, che influenzerà la scena italiana a cominciare da Fabrizio de André con cui scrive e compone due storici album come Rimini e L’indiano.
Negli ultimi anni si è dedicato alla riscoperta del patrimonio artistico, musicale e storico legato alle vicende della Prima Guerra Mondiale in Italia. Da questo lavoro hanno avuto origine due album. Nel 2005
Quel lungo treno e nel 2014 Il testamento del capitano, seguito dall’album antologico Da Caporetto al Piave.
“E’ il 28 ottobre 1921- ci racconta Bubola – Siamo nella basilica di Aquileia. Gli occhi di tutti sono rivolti alle undici bare al centro della navata, e alla donna che le fronteggia: Maria Bergamas. Maria deve scegliere, tra gli undici feretri, quello che verrà tumulato a Roma, nel monumento al Milite Ignoto, simbolo di tutti i soldati italiani caduti durante la Grande Guerra. Maria passa davanti a ogni bara, e ognuna le racconta una storia. Sono vicende di giovani uomini, strappati alle loro famiglie, ai loro amori, ai loro lavori, finiti a morire in una guerra durissima e feroce: contadini e cittadini, borghesi e proletari, braccianti e maestri elementari, fornai, minatori, falegnami, muratori, veterinari e seminaristi che parlano in latino con il nemico ferito sul campo di battaglia”. Massimo Bubola, in questa «ballata», fonde le sue eccezionali doti di musicista con una sensibilità linguistica davvero rara: fa rinascere parole dimenticate, le armonizza e le «mette in musica», e dà alla luce un’opera destinata a rimanere nel tempo, sia per il suo valore storico e culturale, sia per la sua qualità lirico-letteraria. Molto importante è stato l’influenza del nonno di Bubola. “Questo mio forte interesse e coinvolgimento nelle vicende della Prima Guerra Mondiale è derivato al principio dai racconti di mio nonno che ha combattuto sul Piave e dal ricordo struggente vissuto in famiglia per un mio prozio morto sul Grappa. La Grande Guerra ha esercitato sempre su di me un fascino epico, in un paese che manca a tutt’oggi di un’epica condivisa. Ci sono poi le canzoni a correlare il tutto. Le canzoni nella storia hanno fatto più di tante battaglie. Sono i primi brani che ho imparato e poi ho sempre cantato con mio nonno e mio padre e i miei compagni di gite in montagna e sono un vero patrimonio di poesia e una mappa dei sentimenti di cento anni fa. Le canzoni della Grande Guerra non sono canzoni contro un nemico o canzoni d’odio, ma semmai canzoni contadine come Ponte de Priula o di minatori come Ta Pum o di mondine come La Tradotta e comunque canzoni di nostalgia e di assenze: la madre, la morosa, il paese, un letto bianco, un pasto caldo e di disagio: il freddo, la fame, il cecchino, la neve”. L’intento di Bubola è stato quello di ridare la voce a soldati che avevano perso tutto, anche il loro nome. La sua intenzione poetico-letteraria è stata l’arbitrio di rimediare a una crudeltà e un’ingiustizia del destino nei confronti di questi soldati morti senza croce e senza nome. Ha cercato, riuscendoci, di ridargli un’identità, un percorso, dei sentimenti, una storia e una famiglia credibile per quanto immaginaria.

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