Primarie delle idee, un appello ai leaders del campo riformatore

Tra il popolo delle persone che hanno un orientamento politico riformatore, tra le tante esperienze sociali e amministrative locali, che vedono impegnati anche molti cattolici in politica, vi è la voglia di ricominciare, anche imparando dagli errori che hanno condotto alla disfatta elettorale del 4 marzo scorso.

Non vi può essere rassegnazione soprattutto di fronte a due preoccupanti fenomeni che stanno accadendo tra la base del campo politico riformatore.

Il primo è costituito dalla smobilitazione o dalla fuga di quei tanti elettori e militanti di forze politiche di centrosinistra o di sinistra che, in assenza di una nuova strategia costruita a partire dalle cause della sconfitta, hanno deciso di abbandonare l’impegno politico diretto, o di rifugiarsi nell’astensionismo, quando non addirittura di dare un voto, forse di protesta, al M5S e alla Lega.

Il secondo fenomeno si registra in quella nutrita classe di amministratori locali, eletti nelle liste dei partiti oppure in liste civiche, di orientamento riformatore. Da qualche tornata amministrativa ormai i candidati di centrosinistra e di sinistra spesso valutano più vantaggioso mettere in secondo piano i riferimenti ai loro leaders nazionali e alle sigle di partito, al fine di assicurarsi comunque il consenso sul loro progetto di governo locale da un elettorato di sinistra che invece si dimostra molto critico verso il livello nazionale.

Man mano che arrivano a scadenza le loro amministrazioni (l’anno prossimo ciò avverrà nella metà degli ottomila comuni italiani, insieme alle elezioni per il rinnovo del parlamento europeo) questa rete, ampia e quasi sempre molto preparata e di qualità, costituita da sindaci e amministratori locali, finirà per accrescere la propria distinzione dai partiti nazionali in assenza di un cambio deciso di strategia e di politiche rispetto al passato.

Di fronte a un simile scollamento con la base degli elettori, dei militanti, degli amministratori locali del campo riformatore non ci si può rassegnare: sarebbe un grave depauperamento per l’intera democrazia.

Tutti i leaders nazionali dei partiti di centrosinistra e di sinistra hanno le loro responsabilità nel cercare di aprire finalmente una fase di dibattito e di confronto vero sulle politiche e sulla strategia per far sì che lo schieramento riformatore possa tornare a competere per un alternativa di governo e non esser ridotto all’insignificanza, se non addirittura all’estinzione.

Per una questione di numeri, la responsabilità maggiore per aprire una fase di cambiamento spetta al Partito Democratico. Il rispetto per il suo dibattito interno dopo la sconfitta elettorale del 4 marzo, l’ultima e la più importante di una lunga serie, e il rispetto per il percorso che il Pd sembra essersi dato di un congresso a breve-medio termine, non può far dimenticare la necessità, che riguarda tutto il campo riformatore, di una discussione che riguardi i capisaldi del suo progetto politico. A tal proposito si avverte forse più la necessita di “primarie delle idee” del campo riformatore, presupposto indispensabile affinché possano svolgersi anche delle vere competizioni democratiche fra candidati con effettive diversità programmatiche come è avvenuto nei laburisti britannici grazie a Corbyn e nei democratici americani grazie a Sanders.

Infatti, appare un fenomeno macroscopico e constatabile da tutti il fatto che il Pd e i suoi alleati, in questi anni abbiano perso consenso nonostante le buone capacità di governo del loro personale politico sui territori, soprattutto a causa di politiche economiche intrinsecamente inadatte ad affrontare la crisi, procicliche che hanno finito per ampliare gli effetti negativi della crisi anziché attenuarli.

Così a fronte di un apertura del Pd, pur tardiva, successiva alla sconfitta sul referendum costituzionale del 2016, al tema della lotta alla povertà, sul quale tanto avevano fatto molti soggetti sociali confluiti nell’Alleanza contro la povertà, negli anni di governo del Pd la povertà, la disoccupazione, la perdita di potere d’acquisto delle famiglie, le disuguaglianze non hanno smesso di aumentare, a conferma di politiche macroeconomiche rivelatesi inadatte, anche a causa dei vincoli esterni.

L’Europa mercantilista e monetarista post Maastricht costituisce l’altro grande tema di dibattito per un campo riformatore che voglia tornare a mettersi in gioco e che dimostri di aver capito, come lo ha capito la gran parte degli amministratori locali del Pd e delle liste civiche di sinistra relativamente al patto di stabilità interno, che occorre costruire una alternativa credibile all’austerità e al rispetto dei vincoli di bilancio europei, al fiscal compact, se si vuole dare una speranza di futuro al Paese e se non si vuole lasciare al loro destino di impoverimento progressivo i ceti medi, popolari e lavoratori che costituiscono i due terzi del Paese, e degli elettori. E che dovrebbero tornare ad essere le classi sociali a cui principalmente si rivolgono le forze politiche riformatrici.

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