Cr7 e il calcio specchio della nostra società

Sulla prima pagina de La Stampa di mercoledì 11 luglio campeggiava la foto di Cristiano Ronaldo, acquistato ufficialmente dalla Juventus. A fianco, il rimando a ben tre articoli sul tema, con titoli fra l’esaltato e l’immaginifico: “Ronaldo alla Juve porta l’Italia nel calcio 4.0”, “Tutto il mondo ora ci guarderà”, “Quel brivido che scalda Torino”. Una prima pagina di questo tenore, monotematica e incentrata sul calciomercato della Juventus, certifica a tutti gli effetti che il quotidiano torinese ha ormai interiorizzato una mentalità localistica, lasciando l’ambito nazionale all’altra testata del gruppo editoriale da cui è stata acquisita. Ma non è questo il punto. Il punto è proprio ciò che succede nel calcio, in particolare in quello italiano, perché il calcio è lo specchio della nostra società, come si può intuire dal rilievo che gli viene dato dagli organi di informazione, come nel caso in oggetto, dove tutto le altre notizie –italiane o estere- vengono relegate in secondo piano.

Questa operazione va infatti a rafforzare la squadra già nettamente più forte, aumentando il divario con le avversarie. Una logica di concentrazione di potere e ricchezza che è la stessa presente nella società attuale, dove la élite dominante continua ad arricchirsi a scapito delle classi medie e di quelle più disagiate. È un fenomeno globale che può essere riscontrato in molteplici contesti. Nel calcio, la svolta può essere individuata con la creazione della Champions League in sostituzione della precedente Coppa dei Campioni. Infatti, mentre la formula classica prevedeva sfide dirette fra le vincitrici dei rispettivi campionati, cioè fra squadre che rappresentavano la propria nazione a livello europeo, Il torneo attuale è pensato come un vero e proprio campionato continentale, tagliato su misura per alcuni club d’élite, ai quali vengono affiancate squadre destinate a fungere da comprimarie, in modo da aumentare il numero di incontri e, conseguentemente, i ricavi da biglietti, diritti televisivi e merchandising. In particolare quest’ultimo è spesso costituito dalla maglietta della società col numero e il nome del calciatore più rappresentativo e popolare. In questo senso, “CR7”, alias Cristiano Ronaldo con la sua maglietta numero 7, è senz’altro protagonista delle vendite. E ora che cambia società e quindi maglietta, il mercato troverà rinnovato vigore.

Questo colossale giro di soldi ha evidentemente molto più a che fare col mondo degli affari che con quello dello sport. E gli interessi che vengono tutelati – esattamente come nel resto della società – sono anzitutto quelli finanziari. Insomma, mentre nella vecchia Coppa Campioni giocavano squadre che rappresentavano la propria nazione, nell’attuale Champions competono società che rappresentano potentati economici. Gli attuali club di alto livello sono sostanzialmente delle multinazionali, di proprietà di sceicchi, oligarchi e miliardari vari, che si contendono a suon di milioni calciatori-divi e allenatori-guru, allo scopo di attrarre pubblico, moltiplicare i ricavi e acquisire prestigio battendo le squadre dei ricconi avversari. Esattamente come appassionati e tifosi si sfidano virtualmente con videogiochi e fantacalcio, loro lo fanno realmente, sul campo, con giocatori veri. E lo fanno, ovviamente, coi soldi che gli diamo noi, o perlomeno con quelli di chi segue il calcio e continua a svenarsi per acquistare abbonamenti allo stadio, pacchetti televisivi, bandiere, magliette eccetera. E con i soldi di chi scommette, naturalmente, perché nel panorama calcistico attuale il concetto di “gioco” è ormai riservato a quello d’azzardo…

Esattamente come nella società, dove la massa delle persone si lascia mungere docilmente, regalando i propri soldi a chi ne ha di più a fronte di illusioni, speranze o soddisfazioni effimere, in ossequio a bisogni indotti o ampliati ad arte, con tecniche pubblicitarie e, magari, con un po’ di complicità di certi organi di informazione, che presentano un colpo del marcato calcistico come fosse la panacea di tutti i mali, un evento epocale in grado di portare una città al centro dell’attenzione mondiale, risolvendo tutti i problemi, dal declino produttivo alla disoccupazione.

Naturalmente, si tratta di un discorso generico, senza alcun riferimento al caso specifico. Tuttavia, ritornare alla notizia riportata in apertura ci permette di fare alcune considerazioni sul campionato di calcio italiano, “il più bello del mondo”, secondo qualcuno. Considerazioni che poi ognuno potrà valutare se possano essere estese anche ad altri ambiti sociali ed economici del Belpaese. Dando un’occhiata all’albo d’oro del campionato, possiamo vedere che negli ultimi quindici anni solo tre squadre si sono aggiudicate lo scudetto, in particolare la Juventus si è aggiudicata gli ultimi sette consecutivi, cosa mai successa nella storia del calcio italiano. Leggermente più variegata la situazione della Coppa Italia, dove tuttavia la stessa Juventus ha vinto le ultime quattro edizioni. Una dimostrazione di strapotere mai vista prima. Se aggiungiamo l’innesto del giocatore più forte del mondo, ce n’è abbastanza per ipotecare i prossimi 3-4 campionati, senza che nessuna avversaria abbia reali possibilità di competere.

A questo punto, si potrebbe pensare di consegnare d’ufficio lo scudetto alla Juventus, senza perdere tempo a giocare il campionato alimentando false speranze. Oppure, si potrebbe pensare di lasciare che i club miliardari si sfidino coi loro giocatori stellari nell’Olimpo della Champions, escludendoli però dalle competizioni nazionali, che in tal modo tornerebbero contendibili dalle squadre “normali”, quindi anche più appassionanti. Ipotesi ovviamente irrealizzabili. Perché i campionati si giocano per fare incassi, anche se chi vince è già deciso in partenza. Non per nulla la Serie “A” è stata portata a 20 squadre: in questo modo si disputano più partite, quindi ci sono più incassi, più diritti televisivi, eccetera, anche se è evidente che su un torneo così lungo le “provinciali” o le squadre medie non hanno possibilità, perché solo chi può permettersi un parco giocatori ampio e di alto livello riesce a rimanere competitivo per tutto l’arco del campionato. Così vincono sempre gli stessi, mentre gli altri servono solo per alimentare il mercato. Perché di questo si tratta, nel calcio come nella società: solo e sempre mercato, soldi, affari.

Tuttavia, è probabile che il meccanismo proseguirà invariato, lucroso per pochi e ingannevole per tutti gli altri. Almeno fino a che i cassaintegrati della Fiat continueranno a identificarsi con qualche giocatore miliardario, così come i giovani con le finte partite Iva pensavano di essere “imprenditori” al pari di Berlusconi. È un inganno che il potere porta avanti da secoli, e che i Romani, maestri nell’arte del dominio, indicavano con una frase che evidentemente funziona ancora oggi: panem et circenses.

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