Da dove ripartire: le riflessioni, sempre attuali, di Luigi Granelli

Ho avuto occasione, qualche settimana fa, di rileggere il discorso con cui Luigi Granelli nel 1999, al Congresso di Rimini, dichiarava esaurita la sua partecipazione al Partito Popolare e, polemizzando con alcune scelte e posizioni di quei mesi, decideva di essere presente nella vita civile e politica senza alcun incarico o ruolo pubblico ma con un’attività di formazione e di supporto culturale.

Molti sono i passaggi per me significativi di quel discorso. Ne propongo due che mi sembrano sempre attuali e che, soprattutto in questi tempi possono anche essere utili e sensati per quanti intendono la Politica in senso alto.

La prima frase di Granelli è la seguente: “Non si raccoglie consenso puntando solo sull’azione di Governo. Moro aveva ammonito che il partito deve interpellare le inquietudini della società, dare voce ai deboli, ai disoccupati, proporre uno sviluppo fondato sulla solidarietà e non sul puro tornaconto del mercato, impegnarsi in una riforma dello Stato che non stravolga la Costituzione, concorrere alla costruzione di un ordine internazionale ispirato a diritto e giustizia più che all’uso delle armi”.

Rileggendo questo passaggio si coglie uno dei motivi delle sconfitte che hanno accompagnato i partiti riformatori e solidali negli ultimi anni; e non solo in Italia. Quando le forze popolari e sociali, coloro che devono rappresentare gli ultimi, i deboli, gli emarginati, oltre che i ceti medi arrivati ad una condizione di relativo benessere, vengono percepiti come controparte, come i difensori dello status quo, come gli interpreti delle norme e delle decisioni che hanno impoverito strati sociali, compresa la classe media e una generazione di giovani sempre in attesa di un futuro migliore, è evidente che quelle stesse forze paghino pegno.

So che è molto facile criticare nelle discussioni da bar o dal parrucchiere, oppure usando la tastiera in modo indiscriminato; così come è vero che non era semplice individuare provvedimenti risolutivi per assorbire significativamente la disoccupazione o far ripartire l’economia in modo soddisfacente per imprenditori e lavoratori, ma è anche vero che il cosiddetto establishment (le agenzie mondiali, i centri decisionali dell’Europa, i Governi e i Parlamenti, la finanza) ha operato pensando solo ai saldi numerici, alla quadratura dei conti, a chiedere sacrifici, dimenticando (almeno questa è stata per tanti la sensazione) le persone, le loro storie, le difficoltà quotidiane; si sono tolte sicurezze e tutele senza garantire equità e futuro.

Inoltre si è operato per riforme costituzionali e di welfare, sicuramente necessarie, ma senza l’accortezza di largo coinvolgimento; senza intervenire su poche materie; facendone anche in questo caso un fatto tecnico (quasi fossero le norme i colpevoli dell’instabilità e delle lentezze, più che le volontà politiche e la chiarezza degli obiettivi democratici e sociali da perseguire) più che un aspetto politico e di rafforzamento della democrazia e della partecipazione.

E sul piano internazionale (dove fortunatamente l’Italia non sempre si è pedissequamente accodata), nonostante la riconferma di una politica equilibrata, di dialogo, di quasi solitaria azione umanitaria verso i migranti e i richiedenti asilo, non si è messa in campo una netta iniziativa per “un ordine internazionale ispirato a diritto e giustizia più che all’uso delle armi”. Questo almeno non è stato percepito, mentre ha pesato molto la polemica di destra contro l’accoglienza. Anche in questo caso è mancato il progetto di integrazione, legato alla capacità di rassicurare le paure delle persone. Si è cercato di attenuare i motivi per cui tanti cittadini hanno manifestato chiusura e paura, anziché intervenire con progetti mirati eliminando le ragioni di contrasto. Solo pochi Enti Locali hanno percorso questa strada.

E’, comunque, da quella riflessione di Granelli e dagli obiettivi ivi indicati che bisogna ripartire per una nuova presenza sempre utile alla nazione.

La seconda frase che mi ha colpito, sempre estrapolata dal discorso di Luigi Granelli (parlamentare, Ministro, popolare intransigente) è il suo essere contrario agli “stratagemmi per anticipare un presidenzialismo senza partiti che porrebbe fine al Governo parlamentare. Il pluralismo della nostra democrazia va difeso con fermezza se si vuole salvare il ruolo dei partiti e del PPI”.

Il 1999, quando la frase è stata pronunciata, è collocato (passatemi la battuta) nel secolo scorso. Non solo siamo in un nuovo millennio, ma sono nati nuovi partiti. Ciò che resta attuale (almeno per me) è che, sia il <presidenzialismo>, sia un sistema (magari facilitato da leggi elettorali) che comprima o annulli il pluralismo e il superamento dello strumento costituzionale dei partiti, sono una risposta sbagliata per migliorare e rafforzare la nostra democrazia. Ci troviamo invece continuamente di fronte a questa minaccia.

Non so come evolverà tutta la tematica, anche di fronte alla nova esperienza di governo che investe l’Italia; so di certo che, pur con i dovuti cambiamenti e riforme, si deve contrastare il presidenzialismo (che ci darebbe un capo, un padrone perché eletto direttamente) che ci trasformerebbe in un sistema cesarista, plebiscitario: basti guardare ad altre realtà. Soprattutto se in mancanza di adeguati, forti, veri bilanciamenti democratici; che nessuno ad oggi ha mai indicato! Così come, qualunque sia una nuova legge elettorale, va difeso il pluralismo dei partiti: quelli che rappresentano una cultura, una visione sociale, non quelli personali o etero diretti da aziende di vario tipo.

Un conto è favorire le coalizioni, il cercare un sistema che dia con più chiarezza un vincitore; altro è annullare ogni differenza o lasciare alle oligarchie il potere di decidere liste, programmi, alleanze, governi. E soprattutto ricordare che la nostra è sempre una democrazia parlamentare. In cui il parlamentare non ha vincolo di mandato, anche se è giusto che risponda agli elettori e alla disciplina di partito, oltre che alla propria coscienza.

La ricchezza della nostra democrazia è proprio la possibilità di governare con la cultura della coalizione; mentre c’è chi vorrebbe trasformarci in una specie di campo di calcio in cui si affrontano due schieramenti, due tifoserie chi non è con me è contro di me! Un sistema sudamericano dove, come si insegnava un tempo, chi vince taglia la testa al vinto (ovviamente da noi il taglio sarebbe solo simbolico, ma lo stesso pericoloso). La nostra cultura è molto diversa. Io resto convinto del valore di quanto indicava Granelli e ritengo che è da lì che si debba ripartire.

 

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