L’insostenibile follia della guerra all’Iran

La tragica e complessa situazione del Medio Oriente rischia di esplodere in maniera irreversibile a causa delle politiche belliche degli USA, di Israele e dell’Arabia Saudita, potenza egemone dell’islam sunnita. Il bersaglio è l’Iran, paese guida delle nazioni di fede sciita, considerato una minaccia dal governo di Tel Aviv, che ambisce a rimanere l’unica potenza nucleare della zona, inviso agli americani dall’epoca della rivoluzione khomeinista, quando i rivoltosi invasero l’ambasciata statunitense a Teheran, e osteggiato anche dai “fratelli” musulmani arabi, che puntano alla supremazia totale sul mondo islamico e, perché no, anche e soprattutto su un’area strategicamente cruciale, in particolare per via delle riserve petrolifere che vi sono concentrate.

Da tempo assistiamo a manovre preparatorie in vista di un possibile conflitto: attacchi mediatici e provocazioni diplomatiche vengono rivolti da tempo, spesso in maniera pretestuosa, al regime degli ayatollah di Teheran, accusati di sostenere il terrorismo e minacciare la pace nella regione. Nel frattempo, l’Arabia Saudita finanzia gruppi terroristici e jihadisti senza che ciò susciti particolari preoccupazioni negli esecutivi occidentali, che anzi sono lieti di fornire armi ai sauditi, i quali le stanno tuttora utilizzando per mettere a ferro e fuoco lo Yemen, ormai ridotto a un tragico campo di battaglia. Lo scorso anno il presidente americano Donald Trump e il re dell’Arabia Saudita Salman hanno firmato un accordo grazie al quale gli Usa forniranno a Riyadh armamenti per 110 miliardi di dollari, una cifra astronomica. Ma evidentemente non sufficiente per l’Arabia, che ha fatto acquisti di armi anche in Canada, per altri 12 miliardi di dollari circa. E anche l’Italia ha provveduto a fornire bombe ai sauditi, a conflitto già in corso e quindi in violazione nelle normative nazionali ed europee. Bombe che l’Arabia ha immediatamente sganciato sullo Yemen, dove le vittime sono ormai nell’ordine delle decine di migliaia.

Eppure, mentre l’Arabia fa la guerra, si continua a dire che la minaccia alla pace in Medio Oriente viene dall’Iran. Non solo: nel corso degli ultimi anni, più volte l’aviazione di Israele ha bombardato siti militari iraniani e compiuto attentati mortali ai danni di scienziati di Teheran, col pretesto di contrastare i progetti di sviluppo delle tecnologie nucleari portati avanti dal regime degli ayatollah. Un programma al quale l’Iran ha poi accettato di rinunciare con un trattato siglato nel 2015 con i cinque Paesi membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu più la Germania, proprio per questo conosciuto come “Accordo dei cinque più uno”. Una soluzione diplomatica fortemente voluta dall’allora presidente americano Obama, che l’attuale inquilino della Casa Bianca Donald Trump ha messo in discussione da subito, come qualsiasi altra cosa fatta dal suo predecessore.

È in questo contesto che va inquadrata la mossa del Premier israeliano Benjamin Netanyahu, che ha accusato l’Iran di non aver rispettato il suddetto accordo sul nucleare. Con una mossa teatrale e altamente mediatica, il primo ministro israeliano ha presentato una serie di immagini che, a suo dire, rappresenterebbero la prova che Teheran ha proseguito il suo programma nucleare, in base alle informazioni raccolte dal Mossad, il potente servizio segreto di Tel Aviv. Sempre sulla base dei rapporti delle sue spie, Netanyahu ha sostenuto che l’Iran avrebbe intenzione di costruire almeno cinque ordigni atomici della potenza di quello che distrusse Hiroshima. Una comunicazione fortemente mediatica, appunto, che mira a qualificare l’Iran come una temibile minaccia per Israele e il resto del mondo.

Potrebbe essere. Quello che è sicuro, invece, è che, mentre si lamenta della possibile minaccia iraniana nei suoi confronti, Israele continua a tutti gli effetti a bombardare obiettivi iraniani, solo che ora in genere lo fa sul territorio siriano, con raid aerei che si ripetono regolarmente dall’inizio del conflitto interno che sta tuttora devastando la Siria. Una tattica già vista in passato, quando sui mass media occidentali imperversava la dottrina della “guerra preventiva” di George W. Bush, che voleva a tutti i costi scatenare le ostilità contro l’Iraq sostenendo l’esistenza di fantomatiche “armi di distruzione di massa” a disposizione del dittatore Saddam, accusato di voler attaccare gli Usa.

Anche allora venne messo in scena qualcosa di simile: qualcuno forse ricorderà l’allora Segretario di Stato degli Usa, Colin Powell, presentatosi al Consiglio di sicurezza dell’Onu con alcune fialette, millantate come armi chimiche di provenienza irachena e definite come la «pistola fumante», la prova inconfutabile dell’esistenza di un arsenale di armi non convenzionali pronte per essere usate contro gli Stati Uniti. Il pretesto perfetto per scatenare una guerra devastante e destabilizzante, dalla quale derivano buona parte degli attuali problemi che lacerano il Medio Oriente.

Naturalmente, il corso degli avvenimenti si incaricò di smentire quella che resta una delle più sfrontate e micidiali “bufale” della storia recente, che oggi verrebbe definita “fake news”, in pratica una colossale balla altamente mediatica, priva di fondamento e dannosa, ma spesso utile a qualcuno per raggiungere i propri scopi innominabili. In Iraq non c’era traccia di “armi di distruzione di massa”, ma in compenso fu l’Iraq a essere distrutto. Ancora oggi il Paese è instabile, ed è proprio in quella instabilità che ha potuto nascere e svilupparsi l’Isis, la peggiore minaccia terroristica dei nostri giorni. Pare impossibile, ma gli iracheni stavano meglio sotto la truce e sanguinaria dittatura di Saddam Hussein di come stiano oggi, anche prima del terribile conflitto con l’Isis. Una situazione che la dice lunga sulle conseguenze di politiche spregiudicate volte a giustificare conflitti ingiustificabili.

Il disastro iracheno dovrebbe fungere da monito. Invece, pare che ci risiamo. Col premier israeliano che, appunto, bombarda l’Iran dicendo che lo fa perché quegli altri sono una minaccia per la pace, perché forse prima o poi costruiranno delle bombe. Intanto lui le bombe le usa già. Ma l’opinione pubblica è talmente distratta, disorientata, assuefatta, manipolata, da non rendersi conto di una verità talmente ovvia da essere sistematicamente ignorata: il Paese veramente pericoloso per la pace è quello che fa la guerra.

E la storia ci insegna che, dalla fine del secondo conflitto mondiale, ci sono due nazioni che sono state costantemente coinvolte in conflitti a ripetizione: gli USA (Corea, Vietnam, Invasioni di Grenada e Panama, Prima guerra del Golfo, Somalia, Bosnia, Kosovo, Afghanistan, Iraq e Libia) e Israele (1948, 1956, Guerra dei Sei Giorni, Guerra del Kippur, Invasione del Libano, Prima e seconda Intifada, oltre ai periodici raid sulla Striscia di Gaza, come l’operazione “Piombo fuso”). Sempre perché si sentivano minacciati, naturalmente. Ora si sentono entrambi minacciati dall’Iran, un Paese grande cinque volte l’Italia, con quasi ottanta milioni di abitanti, in maggior parte giovani, che ha già dimostrato una straordinaria capacità di resistenza quando venne aggredito dall’Iraq di Saddam Hussein, che quella volta usò davvero le armi chimiche, senza tuttavia riuscire a piegare la forza di volontà e lo spirito di sacrificio delle forze sciite.

Vedremo se Trump ne terrà conto quando deciderà se rinnegare o meno l’accordo con l’Iran, prima di ritrovarsi in un conflitto che potenzialmente si annuncia come un nuovo Vietnam.

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