Spagna e Catalogna, il perenne vuoto della politica

Arrestato nelle scorse settimane in Germania, l’ex presidente della Generalitat catalana, Carles Puigdemont è stato rilasciato dai giudici tedeschi che non consentiranno l’estradizione in Spagna per il grave reato di ribellione costituzionale, non intravedendone gli estremi nella concreta condotta del fuggiasco. Via libera invece per l’altra imputazione: appropriazione di fondi pubblici, riferita all’utilizzo di risorse per il referendum illegittimo.

Da contesa di natura politica l’intera faccenda si è trasformata in un affare di ordine giudiziario. Tutto è cominciato col referendum del 1° ottobre scorso, ovviamente illegittimo per l’ordinamento spagnolo e che, va segnalato, ha visto una netta preponderanza indipendentista solo perché al voto si è recato appena il 40 per cento degli aventi diritto. In pratica a voler l’indipendenza catalana è soltanto una minoranza che, seppur cospicua resta tale. In reazione a questa fuga in avanti il governo ha applicato l’art. 155 della Costituzione, sospendendo l’autonomia catalana e, contemporaneamente, convocando elezioni regionali anticipate per tornare, al più presto, alle normali regole costituzionali. La tornata elettorale, celebrata il 21 dicembre scorso, ha visto le forze indipendentiste attestarsi sul 47 per cento dei suffragi, conquistando la maggioranza assoluta in seggi (68 su 135), ma a quattro mesi dal voto, la Catalogna non dispone ancora di un governo nella piena legittimità delle proprie funzioni poiché i nazionalisti, chiamati a comporre un nuovo esecutivo si sono divisi sul nome del presidente. Dapprima avrebbero voluto riproporre Puidgemont, ma l’assunzione della carica presuppone la presenza in aula del candidato, cosa che, pena l’arresto, il fuggiasco non poteva assicurare. Poi sono stati fatti i tentativi con il presidente di Anc, Jordi Sanchez e l’ex portavoce di Puigdemont, Jordi Turull, entrambi in carcere e dunque impossibilitati ad assumere l’incarico. Adesso si pensa ad un candidato provvisorio, in attesa di cambiare le modalità di votazione, contemplando anche il voto telematico. Tutto per agevolare un ritorno di Puigdemont. La soluzione pare dunque ancora lontana.

Il fatto è che in Spagna, da troppo tempo, si è al muro contro muro, con una serie di azioni e reazioni che hanno avviato un’escalation che non lascia presagire nulla di buono. Da un lato si assiste alla riedizione, ovviamente in farsa, della vicenda dei fuoriusciti repubblicani espulsi dal franchismo. Farsa perché risulta chiaro a tutti che la Spagna è uno Stato di diritto e non certo un regime oppressivo come quello del Generalissimo. Dall’altra pare che il governo non conosca altra opzione se non quella giudiziaria, rifiutandosi di fornire, in parallelo all’operato dei giudici chiamati a far rispettare le leggi esistenti, qualche risposta politica al problema.

Sembra che le due parti giochino ad attizzare ancor più gli animi, proprio in un momento nel quale servirebbe un saggio utilizzo della politica, come strumento di composizione tra le due istanze. Difficile dire come se ne uscirà. Certo bisogna riannodare i fili del dialogo sul fronte politico, perché non è nelle aule dei tribunali che può trovarsi una soluzione. Serve un’assunzione di responsabilità, prima di precipitare, magari involontariamente, e senza neppure accorgersene, nel baratro di una crisi che alla fine travolgerebbe tutti.

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