A quarant’anni dall’uccisione di Moro

In alcuni precedenti articoli di questo giornale abbiamo affrontato il paragone di Mattarella, nel suo discorso di fine 2017, relativo alle differenze tra i ragazzi del 1899 e quelli del 1999: questi ultimi hanno potuto votare per la loro prima volta, mentre quelli del 1899 “dovettero” andare al fronte, per loro prima volta (e per molti fu l’unica, perché là trovarono la morte). Abbiamo poi integrato con i ragazzi del 1959, la gran parte dei quali “poté e volle” rifiutare la violenza del terrorismo. Sono stati letti, quegli anni di fine ’70 a Torino, con gli occhi di uno di loro, chiedendogli di ricostruire la strage di via Fani con le categorie della sua gioventù, senza i filtri di un uomo ora più che adulto. Continuiamo qui, ripercorrendo con lui gli eventi che precedettero e seguirono l’uccisione di Moro, senza correggerne le ingenuità e le inevitabili imprecisioni:

Dopo la tragica strage della scorta di Moro e il suo rapimento, si aprì per me una fase “demenziale”, perdonami il termine. La morte degli agenti fu un ennesimo dramma sanguinario, compiuto da delinquenti, non tutti lo dicevano, ma alcuni di noi sì. Ma il rapimento di Moro agitò i politici in maniera per me incomprensibile. Non si erano mai agitati così per gli altri. Certo, io non sapevo bene chi fosse, del resto conoscevo poco i politici: comunque, Moro mi era più simpatico di Fanfani, che aveva demolito la DC con l’assurdo referendum contro il divorzio, ed anche di Andreotti, che era andato al governo con i comunisti e, davvero, non capivo cosa c’entrasse con loro. In generale i politici erano distanti dalla mia generazione, ma in quelle settimane iniziai ad apprezzare Zaccagnini, che mi sembrava una persona seria, e poi venne Pertini: un antifascista non comunista che parlava chiaro (quindi era stato possibile essere antifascisti senza essere comunisti!). Pensa che prima di lui c’era un presidente della Repubblica che faceva le corna nelle foto! Che Moro fosse importante, lo testimoniò anche il papa Paolo VI, persona purtroppo a noi poco nota nei suoi ultimi anni di vita che, per fortuna, oggi hanno recuperato, rivalutandolo per come condusse il Concilio e per come aprì molti dialoghi, silenti da secoli, come quello con gli ortodossi, ma allora? Quindi tanta agitazione per Moro, mentre non ce ne era stata per tante altre vittime, proprio non la capivo. Certo i giorni della sua prigionia furono una dolorosa angoscia per la sua famiglia, ma per le altre? Mi ricordo (prima e dopo) un ragazzo ucciso mentre incrociava in motorino una sparatoria tra la polizia e i brigatisti, un barista ammazzato per sbaglio, il rogo del bar di via Po, tante altre vittime,… il padre di un’amica, ucciso davanti alla fabbrica dove faceva il sorvegliante, sindacalisti, giornalisti, avvocati, magistrati, forze dell’ordine,…. Solo allora la politica si svegliava? Nella mia scuola c’era chi andava a lezione con le molotov nello zaino dei libri,… ma dove vivevano quelli di Roma? Cosa avrebbero detto, poi, della strage della stazione di Bologna, due anni dopo? Adesso ci contano come furono condotte le indagini,…. ci raccontano tante storie di servizi segreti, complotti internazionali e così via, … ma quello che non dicono è che c’era una frattura tra la politica e il paese, così alcuni criminali, spesso impunemente, vi si infilarono dentro, magari con dei complici illustri. Non mi ricordo quando ci svegliammo, dopo la morte di Dalla Chiesa, dopo quella di Bachelet? Non so. A scuola non si spiegavano le cose, forse iniziai a capire qualcosa all’università; al lavoro i sindacati per la gran parte curavano i contratti,… e i partiti, dov’erano? Non so come e per merito di chi, ma comunque quella stagione finì, grazie ad alcuni magistrati, a uomini e donne delle forze dell’ordine, familiari delle vittime, che attuarono dialoghi impossibili, alla Chiesa (Martini, ad esempio), pentiti,… Politici? Non pervenuti, tranne alcuni pochissimi. Inoltre, per quel tipo di rivoluzioni ci vuole il consenso popolare, che i terroristi non avevano; tra la gente, i pochi che capivano erano per lo più contrari, mentre la gran parte della popolazione era indifferente. Il terrorismo era un cancro, una malattia estranea, che venne in qualche modo debellata, anche se qualche peduncolo non lo si eliminò del tutto. Ma nel frattempo diventai adulto, senza nessun merito per essere sopravvissuto, rispetto ad altri miei coetanei, morti per caso. Poi vennero la Milano da bere e tangentopoli,…”.

Una ricostruzione cinica? Assenza di capacità critica? Memoria storica parziale? Ma quelli erano gli occhi di un ragazzo di allora: chi lo aiutava a leggere la realtà? E oggi, pur in un clima sociale (nazionale) molto più civile (salvo qualche eccesso), si costruiscono luoghi per educare i giovani alla politica, alla comprensione della complessità dei problemi? E come sono i politici di oggi, rispetto a quelli di quel tempo? Tutte questioni alle quali il ragazzo di allora non sa rispondere.

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