Attacco franco-britannico-americano in Siria

Attacco congiunto franco-britannico-americano in Siria, in risposta all’uso di armi chimiche da parte del regime di Assad contro i ribelli antigovernativi. Una risposta ingiustificata secondo la Russia che mette addirittura in dubbio il bombardamento con ordigni chimici, affermando che si tratti di una mossa costruita ad arte degli occidentali per destabilizzare la regione. Versioni contrastanti dunque, in una Siria che da sette anni è un crocevia di guerra tra un regime feroce come quello di Bashar Assad e i suoi oppositori, non tutti peraltro, da annoverare come sinceri democratici, visto che nelle loro fila si erano infiltrati non pochi esponenti del fondamentalismo islamico. Tace la Turchia dalle cui basi non è dato di capire se siano, o meno, partiti gli aerei americani per il raid. Protesta l’Iran, assai interessato ad accrescere la propria longa manus sulla Siria. Una situazione dunque assai intricata che, unita alla guerra contro l’Isis in Iraq e alla questione curda, da sempre sul tappeto, rende l’intera regione una vera e propria polveriera.

In realtà, prima di rispondere con le armi, da parte occidentale sarebbe stato meglio attendere l’esito delle verifiche degli ispettori internazionali sull’effettivo utilizzo di armi chimiche da parte di Assad. Quindici anni fa, in Iraq, si disse che Saddam Hussein disponeva di simili ordigni, ma poi si scoprì che era tutto falso. Intanto però ci si era avventurati in un guerra che, in fondo, è la causa principe dell’attuale destabilizzazione. Bisognerebbe dunque muoversi con maggior prudenza ed evitare, per quanto possibile, azioni unilaterali senza la copertura delle Nazioni unite.

Che Assad sia un tiranno che intende eliminare tutti i suoi avversari, anche con bombe chimiche è magari verosimile e che il presidente americano, Donald Trump, dopo i troppi tentennamenti di Obama, abbia voluto dare un segnale al dittatore siriano di non sentirsi totalmente impunito di fronte a qualsiasi crimine contro i civili, può anche starci. Tra l’altro pare che Washington abbia fatto trapelare ai russi una rosa dei possibili bersagli da colpire per salvaguardare, per quanto possibile, le vite umane e, non a caso, nei giorni scorsi i diversi siti erano stati evacuati.

Detto questo però, adesso è il caso di fermarsi. Attenzione cioè alle escalation, a situazioni che possono, anche involontariamente sfuggire di mano a tutti. Bene sarebbe che la questione siriana fosse immediatamente portata in sede Onu per una completa valutazione su quello che sta accadendo, sui rapporti di forza in atto, sulle possibili evoluzioni. Troppe le situazioni foriere di rischi per abbandonarsi, sia Mosca che Washington, a inconsulte fughe in avanti, per soddisfare unicamente le proprie ambizioni strategiche: per la Russia, il ritorno al rango di super potenza, per gli Stati Uniti, la conferma del loro prioritario ruolo in Medio Oriente.

E’ giunto invece il momento di un pieno e proficuo recupero delle relazioni russo-americane, avviando una comune unità di intenti nel restituire alla regione un assetto stabile e pacificato. Un assetto che non può prescindere da un freno alle velleità turche, da un riconoscimento dell’impegno curdo contro l’Isis, da un coinvolgimento dell’Iran nelle decisioni che verranno prese e infine da una responsabilizzazione di Israele nei confronti della situazione palestinese. Un’agenda fitta e impegnativa, nella quale dovrebbe inserirsi, con qualche proposta, l’Unione europea, magari facendo da ponte per aiutare Russia e Stati Uniti a superare le reciproche incomprensioni.

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