Centrosinistra e austerità: un binomio da spezzare, come chiesto dagli elettori

Le varie analisi che sono state condotte sui flussi elettorali e sulla composizione sociale del voto del 4 marzo scorso, si sono dimostrate impietose con i partiti della sinistra. Con tutti: con il Pd e con Liberi e Uguali. Nonostante la società “liquida”, la società atomizzata, deideologizzata e spoliticizzata, in ultima analisi ha prevalso il voto secondo l’interesse di classe, di ceto, di micro-gruppo sociale. E in una società in cui si delinea una netta frattura sociale, una società opulenta alla rovescia, vale a dire composta da circa due terzi di cittadini impoveriti e solo più dal restante terzo garantito, il voto si è tendenzialmente aggregato attorno alle forze politiche che più hanno dato l’impressione di rappresentare gli interessi di questi due grandi gruppi sociali. Il segmento più ricco, quello che non solo è passato immune attraverso questi anni di crisi, ma è stato addirittura favorito dalle politiche deflazioniste e orientate all’esportazione, ha distribuito il suo consenso principalmente tra il Partito Democratico e i suoi alleati minori come la lista Bonino, e tra Forza Italia e Liberi e Uguali. Il ceto medio impoverito e i ceti lavoratori e popolari, che costituiscono la maggioranza assoluta dell’elettorato e le cui sorti dipendono dalla ripresa della domanda interna, hanno votato in massa per il Movimento Cinque Stelle e per la Lega.

Come possono reagire le varie forze dello schieramento riformatore di fronte a una tale dislocazione del consenso elettorale? Possono tali forze essere riconvertibili in tempi non biblici alla rappresentanza degli interessi dei ceti popolari? Possono esser spinte a ricomporre in un progetto politico di comune futuro la profonda frattura sociale che le stesse forze hanno concorso a causare attraverso politiche economiche e monetarie inadatte a fronteggiare la crisi e addirittura causa del suo aggravamento?

Il Partito Democratico appare ancora stordito dall’entità della sconfitta e non sembra dare l’impressione di voler cambiare il progetto veltroniano lib-lab del Lingotto che sta a suo fondamento. Liberi e Uguali si è rivelata non l’embrione di un nuovo schieramento riformatore capace di reale discontinuità nelle politiche con la sinistra del passato, ma un cartello elettorale improvvisato e programmaticamente poco omogeneo, che agli elettori è apparso come una costola del Pd, quando non addirittura del professor Mario Monti.

Entrambe le formazioni politiche rischiano di essere travolte dalla velocità della storia. Per questo paiono tentate di rafforzare la dimensione identitaria su quella della lettura del cambiamento. Una via rispettabilissima e in certo qual modo nobile, che mantiene vivo un importante filone culturale e politico del ventesimo secolo, ma che preclude qualsivoglia percorso volto al recupero dell’elettorato tradizionale della sinistra.

L’altra via che appare possibile seguire, è quella di costruire un nuovo movimento politico, saldamente collocato nello schieramento riformatore, ma che non sbandiera l’identità in astratto, preferendo rendersi riconoscibile attraverso le proprie priorità programmatiche. Pochi e chiari punti comprensibili a un vasto elettorato popolare, deideologizzato, pragmatico ma molto attento a riconoscere le proposte che rappresentano gli interessi dei ceti lavoratori e della classe media: un piano per il lavoro, maggiori risorse per il welfare, mettere la parola fine al balletto sull’età pensionabile per ridare serenità alle famiglie e favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, reperire le risorse per fare finalmente partire la ricostruzione delle zone terremotate, per mettere in sicurezza le scuole e le abitazioni dai rischi sismici e idrogeologici, un piano articolato per la riduzione delle disuguaglianze che comprenda una politica salariale, una politica di riduzione degli orari di lavoro, di contrasto al lavoro povero e alla povertà, un fisco più equo e più umano e sostenibile con i più deboli e forte con i grandi gruppi economici e finanziari. Un programma finalizzato a ridare ossigeno alla domanda interna per far ripartire il Paese, tutto il Paese.

Ma l’aspetto decisivo è il seguente: la consapevolezza che un siffatto programma non potrà essere realizzato entro l’attuale quadro di politiche di austerità. È questo l’ingrediente essenziale all’avvio di un nuovo soggetto politico. Quello che è auspicabile che nasca è una forza politica capace di rendere il centrosinistra non austeritario, perché il monetarismo che detta le attuali regole delle politiche economiche e di bilancio, porta ad anteporre la moneta alle esigenze concrete delle persone, e dunque si rivela essere incompatibile con un avanzato programma di sviluppo economico e sociale. Solo separando il binomio centrosinistra – austerità, con tutto ciò che ne consegue sul piano delle politiche economiche e della politica estera dell’Italia, lo schieramento riformatore, alternativo al centrodestra, potrà recuperare credibilità presso l’elettorato popolare che alle ultime elezioni ha mandato un messaggio non equivocabile.

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