Il ritorno de “La Gioconda”

L’opera di Ponchielli, un tempo famosa, accolta con grande successo al Teatro Municipale di Piacenza.

Strano destino quello de La Gioconda di Amilcare Ponchielli. Opera da sempre amata dal pubblico, all’opposto snobbata da gran parte della critica. Un tempo popolare e presente nei cartelloni dei teatri, oggi è quasi una rarità. Una cosa è certa: “quando una la ascolta e conosce questa schietta e generosa opera, – come scrisse William Weaver – se soccombe al suo melodioso incanto, non può fare a meno di volerle bene”.

Ne La Gioconda convivono due anime: quella del melodramma ottocentesco italiano che volgeva al suo termine, abbandonando pian piano l’araldica formalità che fino a quel momento lo aveva contraddistinto, e quella già tipica del teatro musicale verista, con tutti i suoi eccessi e la rustica concitazione declamatoria che gli sarà propria nel calare le passioni umane in un realismo privo di idealizzazioni. L’ambientazione stessa dell’opera, in una Venezia dogale seicentesca dove il color locale si coniuga in cori, serenate, danze e visioni di una città lagunare dove dietro alla facciata di climi festosi si celano oscuri sotterfugi, fanno del capolavoro di Ponchielli, su libretto di Arrigo Boito, una partitura tanto ricca di musica quanto emblema di un modo di far teatro in musica fatto per piacere al pubblico.

Ecco perché, ogni qualvolta la si ripropone, il gradimento non tarda a mostrarsi, soprattutto quando, come si è fatto al Teatro Comunale di Piacenza, la si mette in scena affidandosi ad un cast selezionato con cura e ad un allestimento di tutto rispetto. Cristina Ferrari, che ha fortemente voluto questo ritorno de La Gioconda nel Teatro del quale è ingegnosa e competente direttrice artistica (la produzione verrà portata anche a Modena e Reggio Emilia e poi trasmessa in televisione da Rai 5), ha coronato un sogno che è divenuto realtà. Ed ecco una sala stracolma di pubblico che veniva da ogni dove per assistere a questo spettacolo attesissimo. È ovvio che la messa in scena, dal momento che La Gioconda è opera di respiro scenico monumentale, quasi un grand-opéra, non è impresa facile da realizzare; non lo è per i grandi teatri, figuriamoci per Piacenza!

Ci si è affidati all’intelligente mano registica di Federico Bertolani, il quale ha ben compreso come il contorno ambientale, per quanto importante, lo sia assai meno dei personaggi che vi emergono in tutto il loro agire impulsivo, dove odio e amore, vendetta e sacrificio si fondono nel creare una trama tanto paradossale quanto avvincente. La scene di Andrea Belli, i costumi di Valeria Donata Bettella e le luci di Fiammetta Baldiserri, al pari delle coreografie di Monica Casadei con la Compagnia Artemis Danza per la celebre Danza delle Ore, contribuiscono a realizzare un disegno registico minimalista, eppure non povero di contenuti. Lo specchio d’acqua che ricopre il palcoscenico, coperto da praticabili lignei e da passerelle che di volta in volta mutano di posizione per creare i diversi ambienti dell’opera, è l’elemento scenico celato ma evidente, che poco per volta prende il sopravvento e che, nell’ultimo atto, vede la protagonista sola dinanzi al suo destino e al suo sacrificio, come scrive il regista, “in un luogo non-luogo dove terra, aria e acqua si fondono”.

Anche le pareti che avvolgono il palcoscenico, coperte da un velo di materiale plastico riflettente, danno l’idea dell’onnipresenza della laguna, della umida atmosfera acquitrinosa all’interno della quale si consumano intrighi, amori e odi. Una soluzione saggia, che svuota l’opera da ogni color locale potenziandone la carica drammatica. Sul piano musicale le sorti dello spettacolo sono ben riposte sulle solide spalle di Daniele Callegari, bacchetta che sa valorizzare la melodia ma anche accendersi di intenso fuoco nelle pagine di ampio respiro, come lo splendido concertato che porta alla conclusione del terzo atto, sempre con invidiabile controllo del palcoscenico. L’Orchestra Regionale della Emilia Romagna e il Coro del Teatro Municipale di Piacenza istruito da Corrado Casati lo assecondano al meglio delle loro possibilità. Sul cast vocale poggiano le maggiori attese del pubblico, anche perché ci sono debutti importanti.

Ovviamente i riflettori sono puntati su Francesco Meli, tenore di fama internazionale che non finisce di stupire. La bellezza della voce è un dato di fatto indiscutibile, così come il fraseggio e la capacità di cantar a fior di labbro fanno parte della classe che lo portano a risolvere la parte come meglio non si potrebbe immaginare in rapporto alle sue caratteristiche vocali, che non sarebbero del tutto attinenti ad una parte come quella di Enzo Grimaldo. Eppure il canto, lucente e cristallino, sempre attento a non forzare l’emissione anche quando le situazioni indurrebbero una vocalità come la sua a farlo, lo vedono stravincere nella celebre aria “Cielo e mar”, miniata con una tale cura nel canto sfumato, nelle messe di voce e nella fantasia di accenti così ispirati, da sciogliere gran parte dei dubbi.

Il soprano Saioa Hernández, che lo scorso anno venne ammirata a Piacenza come protagonista del La Wally di Catalani, oggi ritorna  ne La Gioconda per debuttare nel ruolo del titolo e regala una prestazione da ricordare. La voce è rigogliosa e piena, ma anche rotonda ed omogenea. Nessuna esasperazione verista nel registro grave, così che il suo “Suicidio!” dell’ultimo atto appare un capolavoro di saggezza d’emissione, ricco di vibrante intensità drammatica, ma nel segno dell’espressione, non dell’effetto fine a se stesso.

Il mezzosoprano Anna Maria Chiuri, Laura, sfoggia una personalità scenica artisticamente completa, capace di amministrare con saggio equilibrio gli accenti amorosi appassionati destinati ad Enzo Grimaldo e la grinta necessaria per lo scontro con Gioconda nel duetto del secondo atto, con voce densa di suono ma all’occorrenza capace di piegarsi a raffinate sfumature e ad un fraseggio sempre meditato e ben rifinito. Alcune tensioni in acuto non impediscono certo al basso Giacomo Prestia, che è artista di consumata esperienza e gran temperamento, di disegnare un Alvise Badoero spietato e nobilmente altero. Del baritono Sebastian Catana, Barbana, del quale viene annunciata una indisposizione ad inizio recita, non si può valutare la prestazione vocale nella sua completezza, ma certamente apprezzare l’impegno e l’alta professionalità che hanno accompagnato una prova comunque ammirevole. Di bel timbro scuro La Cieca del mezzosoprano Agostina Smimmero e di ottimo livello anche i ruoli di contorno, con Graziano Dellavalle, Zuàne, Nicolò Donini, Un cantore, Lorenzo Izzo, Isèpo e Simone Tansini, Un pilota/Barnabotto.

Lo spettacolo, accolto con grandi consensi, si è inserito nell’ambito di una stagione impegnativa, di livello qualitativo tale da confermare come la cosiddetta “provincia” e i suoi teatri, che per di più nell’Emilia-Romagna sono uno più bello dell’altro, siano l’anima vera della lirica italiana.

Foto di Roberto Ricci.

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