Il Papa sudamericano. Immagine di Chiesa “dell’altro mondo”

Nel mese di gennaio il Papa è stato in Cile e in Perù, Paesi con difficoltà sociali e dove anche la Chiesa, se pure a fianco dei poveri, deve scontare qualche contestazione per la rivelazione di abusi sessuali da parte di religiosi. Anche se Papa Francesco ha saputo conquistare l’affetto e la calorosa accoglienza di molti.

Le visite papali (in Italia e fuori dall’Italia) costituiscono sempre elemento di importanza notevole sia nella vita della comunità credente, sia per la realtà civile e sociale che ne è coinvolta. Perché Papa Francesco non dice mai cose banali o scontate; anzi, molto spesso, rilancia su aspetti discussi o su cui lo si contesta. Cosa ha fatto e detto di significativo in questa occasione oltre a presentarsi “come pellegrino della gioia del Vangelo e per condividere con tutti la pace del Signore e confermarvi nella stessa speranza”, e a sostenere quanti sono a fianco degli scartati, a ripetere la necessità di pace, giustizia, e fraternità per una comunione condivisa ed un’armonia sociale?

Cominciamo con i “fuori programma” del viaggio: il primo, il raccogliersi in preghiera sulla tomba di mons. Enrique Alvear Urrutia, uno dei Vescovi più amati e ricordati dal popolo cileno, che lo denominò “vescovo dei poveri”. Un modo, un gesto simbolico per ricordare l’impegno per la giustizia sociale e lo sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini (come diceva il beato Paolo VI).

E poi la celebrazione del matrimonio cristiano di due operatori del volo (hostess e steward) che erano uniti solo civilmente. Esempio per ricordare a tutti bellezza e significato del Sacramento dell’unione sponsale.

Una terza immagine è stata il soccorso prestato ad un’agente della scorta caduta da cavallo. Cose piccole, ma che continuano a dirci di un Vescovo di Roma che vive in mezzo alle persone, per servire e non per essere portato sulla sedia gestatoria o essere il cultore dei riti.

L’ultimo imprevisto è stato l’invito a combattere il femminicidio. E’ la prima volta che Francesco usa il termine in modo ufficiale; e lo ha fatto proprio nei giorni in cui, a livello internazionale, le donne hanno manifestato la loro determinazione per sottrarsi agli abusi e a denunciarli. Sono stati tutti messaggi ai credenti! I credenti li sapranno raccogliere, comprendere, o li riterranno parte di uno <spettacolo>?

Papa Francesco in visita al Cile 28 anni dopo la dittatura di Pinochet. Non è mancato, nella tappa cilena, un incontro con due vittime della dittatura, anche questo una presa di distanza da atteggiamenti incerti del passato. E’ da sottolineare l’incontro con i Mapuche e gli altri popoli indigeni, per lungo tempo contrastati e avversati per usarne e sfruttarne le terre.

Una specie di filo rosso ha legato il viaggio tra il Cile e il Perù, con messaggi rivolti più a noi che a chi lo ascoltava dal vivo: La saggezza dei popoli autoctoni può offrire un grande contributo. Da loro possiamo imparare che non c’è vero sviluppo in un popolo che volta le spalle alla terra e a tutto quello e tutti quelli che la circondano”.

Altri contributi sono venuti; validi ovunque e sempre. “Non posso fare a meno di esprimere il dolore e la vergogna, vergogna che sento davanti al danno irreparabile causato a bambini da parte di ministri della Chiesa. Desidero unirmi ai miei fratelli nell’episcopato, perché è giusto chiedere perdono e appoggiare con tutte le forze le vittime, mentre dobbiamo impegnarci perché ciò non si ripeta”. Inoltre l’impegno a passare da comunità preoccupata a Chiesa che serve: “passare dall’essere una Chiesa di abbattuti desolati a una [..] Chiesa capace di porsi al servizio del suo Signore nell’affamato, nel carcerato, nell’assetato, nel senzatetto, nel denudato, nel malato…. Un servizio che non si identifica con l’assistenzialismo o il paternalismo, ma con la conversione del cuore. Il problema non sta nel dar da mangiare al povero, vestire il denudato, assistere l’infermo, ma nel considerare che il povero, il denudato, il malato, il carcerato, il senzatetto hanno la dignità di sedersi alle nostre tavole, di sentirsi “a casa” tra noi, di sentirsi in famiglia. Quello è il segno che il Regno di Dio è in mezzo a noi”. E citando l’Omelia nel Te Deum Ecumenico, 18 settembre 1977 del Card. Raúl Silva Henríquez, “se qualcuno ci domanda: “Cos’è la giustizia?”, o se per caso pensa che consista solo nel “non rubare”, gli diremo che esiste un’altra giustizia: quella che esige che ogni uomo sia trattato come uomo”. Mentre nell’incontro con i Vescovi ancora una volta ha voluto ricordare “Diciamolo chiaramente, i laici non sono i nostri servi, né i nostri impiegati. Non devono ripetere come “pappagalli” quello che diciamo. Il clericalismo lungi dal dare impulso ai diversi contributi e proposte, va spegnendo a poco a poco il fuoco profetico di cui l’intera Chiesa è chiamata a rendere testimonianza nel cuore dei suoi popoli”.

Ecco i messaggi: la necessità di difendere le vittime della pedofilia e denunciare questa colpa; la carità intesa come <far posto> nelle nostre mense, nella nostra vita, nella nostra società; l’impegno per la giustizia, come considerazione dell’uomo per la sua dignità, e quindi come fonte di diritti; e il laicato con pari responsabilità per una Chiesa non clericale. Messaggi validi in ogni parte del mondo.

Per la prima volta un Papa ha visitato l’Amazzonia. Quali i contributi per tutti noi? Di fronte alla violazione dei diritti umani subite da quei popoli ripete Non permettere che ci vinca lo scontro o la divisione”, ma ricorda che nella ricerca di unità “una delle principali tentazioni da affrontare è quella di confondere unità con uniformità. Gesù non chiede a suo Padre che tutti siano uguali, identici; perché l’unità non nasce né nascerà dal neutralizzare o mettere a tacere le differenze. L’unità non è un simulacro né di integrazione forzata né di emarginazione armonizzatrice. La ricchezza di una terra nasce proprio dal fatto che ogni componente sappia condividere la propria sapienza con le altre”. Allo stesso modo sottolinea che “dobbiamo lasciare da parte la logica di credere che ci siano culture superiori e culture inferiori”.

Una seconda riflessione del Papa, attinente la ricerca di unità e di convivenza tra i popoli, riguarda la tentazione circa gli strumenti da usare: “Ci sono due forme di violenza che più che far avanzare i processi di unità e riconciliazione finiscono per minacciarli. In primo luogo, [..] l’elaborazione di accordi “belli” che non giungono mai a concretizzarsi. [..] Progetti [..] che non diventando concreti finiscono per “cancellare con il gomito quello che si è scritto con la mano”. Anche questa è violenza. Perché frustra la speranza.[..] In secondo luogo, [..] una cultura del mutuo riconoscimento non si può costruire sulla base della violenza e della distruzione che alla fine chiedono il prezzo di vite umane. Non si può chiedere il riconoscimento annientando l’altro”. Perciò rilancio della nonviolenza come cultura e come pratica; no alle armi!

Cosa resta ora, quali gli sviluppi dopo questo viaggio? Ci consegna l’immagine di una Chiesa che combatte con i poveri e difende gli indifesi e i loro diritti. Una Chiesa che prima dei dogmi e delle leggi morali vuole continuare a dire “Convertitevi e credete al Vangelo”. Una Chiesa che non deve essere preoccupata degli spazi o dei consensi, ma di una visione lunga, di un impegno educativo incentrato non tanto su aspetti teologici e morali, quanto sulla capacità di dire Cristo oggi servendolo negli ultimi, nei dimenticati, e di richiamare quanti si dicono cristiani a percorsi di unità e di coerenza con il volto misericordioso del Padre. Una Chiesa che sa essere <amica del mondo> perché “questa profezia che ci viene chiesta ci spinge a cercare spazi sempre nuovi di dialogo più che di scontro; spazi di incontro più che di divisione; strade di amichevole discrepanza, perché ci si differenzia con rispetto tra persone che camminano cercando lealmente di progredire in comunità verso una rinnovata convivenza”. Una Chiesa che non si sente minacciata dalla laicità, ma offre alla società tutta alcuni criteri che valorizzano la libertà e i diritti di ogni uomo e di tutto l’uomo. Una Chiesa dell’’<altro mondo> nel senso che deve “ribaltare” il modo d’essere.

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