Dalle trincee alle elezioni

Annegata tra altre notizie, alcune più lievi ed altre più tragiche (che non vorremmo mai sentire), che ci assalgono ad ogni inizio d’anno, quella del settantesimo compleanno dell’entrata in vigore della nostra Costituzione, il 1° gennaio 2018, è passata piuttosto inosservata (ma non su questo giornale,…). Come un gioiello di famiglia che i “nonni” (i “Presidenti della Repubblica”?) tengono “da conto”, perché non venga sperperato dalle generazione più giovani, talvolta più acide ed avide, ma che non deve esser celato in una cassetta di sicurezza (perché non si rovini), la carta fondamentale del nostro civile vivere comune (nella sua prima parte che riguarda i diritti fondamentali) dovrebbe essere il quotidiano punto di riferimento di ogni azione politica, a partire dal sostegno al lavoro. Quindi buon compleanno a quello che fu un frutto di una seria e puntuale attività delle più diverse forze politiche presenti nell’ Assemblea Costituente, partiti che andavano dai monarchici (pochi) ai socialisti e comunisti (parecchi), passando per i democristiani (molti). I tempi richiedevano grandi responsabilità: la nazione era uscita da una guerra terribile e talvolta anche fratricida; l’economia era a pezzi e c’era il rischio che l’Europa e il mondo tornassero (allora molto più che oggi) ad essere nuovamente un campo di battaglia, questa volta nucleare. Ebbene, in quel contesto, per dare al Paese regole fondamentali condivise, la classe politica fu all’altezza della situazione, arrivando a scelte unitarie, anche se – in qualche caso- esageratamente equilibrate, ma ciò proprio per evitare che venisse favorito uno dei poteri fondativi a scapito di un altro, essendoci la paura di tornare ad un’altra dittatura. Si potrebbe dire che l’Italia, che voleva ricominciare, ottenne e si meritò un’adeguata classe dirigente, che seppe darle regole e condizioni tali da garantirne sviluppo e tranquillità, pur essendo politicamente molto divisa.

Probabilmente, casualmente, a seguito degli eventi che si susseguirono alla fine della seconda guerra mondiale, la Costituzione repubblicana entrò in vigore (circa) cento anni esatti dalla promulgazione dello Statuto Albertino del 1848, la legge fondamentale del Regno di Sardegna prima e dell’ Italia unitaria poi, ritenuto il cardine dello Stato, che neanche la dittatura fascista volle formalmente cambiare, pur svuotandone sostanzialmente i contenuti: questo a dimostrazione che una costituzione si deve maneggiare con profonda cura e la sua modifica deve essere fatta solo a ragioni ben vedute.

Ma, in maniera ancor più casuale, le prossime elezioni politiche si svolgeranno il 4 marzo venturo, esattamente a centosettant’anni dal documento costituzionale sabaudo, datato infatti 4 marzo 1848. Saremo, quindi, chiamati in una data “simbolica” a scegliere quali dovrebbero essere i nostri prossimi governanti (incertezze della legge elettorale permettendo). Nel 1848 e dintorni, la classe politica piemontese era fatta da personaggi quali Gioberti, Balbo, Cavour, d’Azeglio e così via,… che, pur con tutti i limiti del loro tempo e della loro cultura, portarono all’indipendenza e all’unità italiana. Nel 1948, avevamo De Gasperi, Togliatti, Saragat, Nenni, Moro e Dossetti, tanto per citarne solo alcuni,… Furono, forse, due momenti eccezionali ed irripetibili, cioè quelli di aver scelto e/o di aver avuto (in secoli diversi) politici e governanti all’altezza di tali delicati compiti? Speriamo di no, anche se il presente che incombe non è dei migliori e il recente passato non è stato di meglio. Si potrebbe dire, invece, che, a seconda dei tempi, una nazione ha i politici, le costituzioni e le politiche che si merita? Chissà? Ricordiamocene, comunque, quando andremo a votare (dato che “possiamo” votare, ad ottanta anni dalle cosiddette “leggi razziali”, promulgate quando allora non si poteva votare), visto che oggi, come ha ricordato Mattarella nel suo discorso di fine 2017, i ragazzi del 1999 “possono” andare alle urne per la loro prima volta, mentre quelli del 1899 “dovettero” andare al fronte, per loro prima volta (e per molti fu l’unica, perché là trovarono la morte): 2018-1918, esattamente cent’anni di differenza, ma quale differenza! Non sprechiamola con l’assenteismo.

 

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