Reddito di inclusione: un primo passo contro la povertà

Dopo decenni di attesa, accumulando un colossale ritardo rispetto ad altri Paesi europei, l’Italia dispone finalmente di uno strumento universale contro la povertà. Si chiama Reddito di inclusione (Rei) e prevede l’erogazione di un importo mensile che può andare da 190 euro, per una persona sola, sino a 485 euro per le famiglie numerose. Il sussidio viene concesso a chi dispone di un reddito Isee annuo non superiore a 6mila euro, un valore del patrimonio immobiliare, prima casa esclusa, non superiore a 20mila euro e un patrimonio mobiliare (risparmi, titoli ecc…) tra i 6 e i 10mila euro, a seconda del numero di componenti del nucleo familiare. Stanziamento previsto: 1,7 miliardi di euro per il 2018, che saliranno a due negli anni successivi.

Con il Rei ci troviamo dinanzi ad una misura universale contro la povertà che supera qualsiasi logica frammentaria, legata a specifiche aree territoriali, come accadeva con il vecchio Sostegno di inclusione attiva (Sia), applicato solo al Sud. Il nuovo strumento si concentra su quattro situazioni sociali particolarmente delicate: nuclei familiari con almeno un minore; nuclei con un figlio disabile, anche se maggiorenne; nuclei con donne in stato di gravidanza; nuclei con disoccupati con almeno 55 anni di età.

La novità è che il sussidio sarà erogato solo a fronte di un preciso impegno da parte delle persone beneficiarie. Chi lo riceve dovrà intraprendere un percorso formativo e qualora l’impegno non sia rispettato, decadrà il diritto di ottenere il beneficio. In sostanza la prestazione monetaria viene legata ad un piano personalizzato di reinserimento che comprende misure di natura: educativa (quando vi sono dei minori che magari non frequentano la scuola), sociale (per disagi connessi all’esclusione), lavorativa (per persone non occupate che necessitano di riqualificazione). L’intero programma verrà monitorato, come proposto a suo tempo dall’Alleanza contro la povertà, da un’apposita cabina di regia che darà vita ad un sistema unitario di inclusione sociale di cui sono parte lo Stato, le regioni, gli enti locali e il Terzo settore.

Il Rei merita certamente un plauso, perché permette di affrontare alcune condizioni di maggior disagio e ha il pregio di superare una logica meramente assistenziale, puntando invece sulla promozione sociale delle persone coinvolte. Con una copertura prevista di circa 1,8 milioni di persone, si resta comunque ben lontani da quella protezione davvero universale e generalizzata sull’intera area della povertà che nel nostro Paese, secondo l’Istat, assomma a circa quattro milioni di persone.

Mancano le risorse si dice. Il che è vero, e certamente gli equilibri di bilancio sono una cosa seria. Proprio per questo bisognerebbe spostare sempre più questi equilibri verso obiettivi sociali più avanzati. E segnali concreti in questa direzione, nel reperire maggiori risorse, potrebbero provenire dalla tassazione sulle transazioni finanziarie, da aliquote più elevate dell’imposta di successione o da un diverso prelievo sul patrimonio immobiliare dopo un’indispensabile revisione delle rendite catastali. Segnali di un riformismo di cui oggi non si vede traccia.

Print Friendly, PDF & Email

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.