Spagna, tensione sempre più alta

Dopo un’attesa durata sin troppo a lungo, Re Felipe è intervenuto sulla questione catalana. Un messaggio nel quale, visibilmente teso, ha ribadito il suo ruolo di garante della Costituzione e dello Stato di diritto. E fin qui tutto bene. Meno bene invece quando, fermo restando il giusto richiamo all’unità nazionale, ha accusato di slealtà istituzionale gli indipendentisti catalani. Il sovrano ha pienamente ragione ad ergersi a tutela delle istituzioni, ma la polemica contro i nazionalisti poteva essere evitata, mantenendo un inattaccabile profilo super partes. E’ poi mancato, e qui ci pare un vero errore, qualsiasi cenno, anche solo di semplice attenzione sul piano umano, alle persone colpite dalla repressione della guardia civile. Una durezza che, non va dimenticato, si è esercitata nei confronti di gente si recava alle urne per votare.

Qui va davvero chiarito un punto. Ancorché il voto fosse illegittimo – e su questo non ci sono dubbi – si trattava pur sempre solo persone che volevano posare una scheda in un seggio e non di una folla che stava andando in giro a spaccare vetrine o a incendiare autoveicoli, come troppo spesso fanno certi cortei no global. Una condotta dunque non assimilabile, nel suo concreto dispiegarsi alla commissione di un reato in senso stretto. Per questo l’uso della forza è parso sproporzionato e, alla fine, proprio l’accanimento mostrato dal governo ha accresciuto nella maggioranza silenziosa della popolazione catalana, se non la simpatia verso la causa indipendentista (che resta sempre e comunque minoritaria) di certo l’avversione nei confronti del centralismo madrileno.

Il discorso del sovrano ha sorvolato su tutto questo ed è parso invece appiattirsi sulle sole ragioni del governo Rajoy, senza offrire quel respiro più ampio che, a nostro parere, avrebbe dovuto essere l’approccio più adatto per un’istituzione di garanzia come la Corona. Un messaggio, spiace dirlo, non all’altezza di una situazione che è la più difficile della sua storia dopo il ritorno alla democrazia.

Per uscire dal circolo vizioso in cui i diversi attori si sono cacciati con la loro cieca e reciproca incapacità a comprendere le ragioni dell’altro, occorre più che mai una coraggiosa iniziativa politica. Quella che è sempre mancata in questi anni con un Rajoy indisponibile a mettere in campo una qualsiasi proposta che potesse agevolare la risoluzione del problema. Sotto questo profilo è evidente la necessità di un cambio di rotta che, senza nulla concedere alla fregola indipendentista, avvii piuttosto un autentico dibattito verso un modello federale, articolato e plurale in cui alle nazionalità storiche come quella catalana sia concessa un grado maggiore di autonomia.

Un po’ il sistema adottato a casa nostra con le regioni a statuto speciale che, va ricordato, ci permise nel 1946 di conservare la sovranità italiana in Alto Adige, terra abitata da una maggioranza di lingua tedesca. Certo per far questo serve lungimiranza e Mariano Rajoy è lontano anni luce da Alcide De Gasperi così come, a ben pensarci, è altrettanto distante da un ex ministro franchista e suo predecessore alla Moncloa, come Adolfo Suarez che negli anni della transizione verso la democrazia seppe trovare le energie per superare il vecchio centralismo, che ingabbiava il Paese da decenni.

Perché oggi dovrebbe essere impossibile muoversi su un percorso analogo, per rivedere l’attuale assetto che richiede un aggiustamento? Pare che il Psoe intenda operare in tal senso e il suo leader, Pedro Sanchez, potrebbe parlarne nel dibattito parlamentare che si aprirà tra breve. C’è un dato di fondo su cui far leva in maniera imprescindibile: il nazionalismo catalano che vuole la secessione ha ottenuto, conti alla mano, appena il 38 per cento dei voti (90 per cento di sì sul 43 per cento degli elettori). Occorre dunque saper parlare in termini credibili alla società catalana nel suo insieme per costruire, in un clima di ritrovato dialogo ed apertura, un nuovo modello di Stato.

Peccato che Felipe non abbia colto l’occasione per farlo. Avrebbe reso un gran servigio al Paese, così come fece suo padre, Juan Carlos, nel 1981 quando bloccò il golpe di Tejero ponendosi a difesa della rinascente Spagna democratica.

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