Germania: Spd, sarebbe un errore andare all’opposizione

Forte crollo per la Cdu (dal 41 al 33 per cento); netta sconfitta per la Spd (dal 25 al 20 per cento); indiscutibile successo dei liberali della Fdp e dell’Afd, formazione di estrema destra, con inquietanti venature neonaziste, che per la prima volta entra in Parlamento. Questo il verdetto delle elezioni tedesche il cui primo esito sembra quello di aver posto fine alla Grande coalizione.

Se i democristiani incassano il risultato negativo ma, essendo forza di maggioranza relativa, si sentono chiamati a formare un nuovo governo, i socialdemocratici, scesi al 20 per cento, pare vogliano tornare all’opposizione. Una scelta dettata dalla delusione e dall’amarezza per il responso elettorale, ma che, passato un comprensibile momento di sconforto, richiederebbe qualche ulteriore riflessione.

In generale sottrarsi all’impegno di guidare il Paese non è mai, per qualunque forza politica, un atto di coraggio o di responsabilità. Certifica, invece, una sorta di l’inadeguatezza nell’affrontare le notevoli complessità del governare. Considerare inadeguata al governo una forza come la Spd, ben lontana dalle suggestioni della vecchia sinistra massimalista (stile Rifondazione comunista, tanto per capirci), è ovviamente un’eresia. Stiamo pur sempre parlando della miglior formazione riformista europea con una capacità di governo pari soltanto ai laburisti britannici. Però questo volersi ritirare nel cantuccio dell’opposizione, certo per prepararsi a nuove future sfide, resta comunque discutibile.

Innanzi tutto entrambi i partner della Grande coalizione sono stati puniti dagli elettori per cui non può dirsi, da parte della Spd, di aver fatto parte di un’alleanza in cui uno dei soci guadagna e l’altro perde. Preso atto di esser dinanzi al classico “mal comune, mezzo gaudio”, occorre chiedersi quale sia la miglior prospettiva per il Paese. Ed è questo il solo interrogativo che dovrebbero porsi le forze politiche responsabili.

E allora non c’è alcun dubbio che, per gestire questa fase tanto delicata sia dal lato politico che da quello economico, la formula più idonea sia ancora una volta la collaudata intesa tra Cdu e Spd, al limite arricchita dall’ingresso dei liberali (Fdp) e dei Verdi, in un inedito quadripartito.

Qualora la Spd si autorelegasse all’opposizione, sarebbe tutta la sinistra riformista a uscire sconfitta. Su questo bisogna esser chiari: quando le forze di sinistra sono fuori dal governo, si magari riempiono le piazze ma di certo non si riesce ad incidere sulle scelte politiche di fondo. All’opposizione ci si deve collocare solo se sono gli elettori a deciderlo, quando cioè dalle urne emerge una chiara maggioranza assoluta, alternativa a quella riformista. Caso emblematico, la grande vittoria del Popolo della Libertà nel 2008. In altre situazioni più sfumate, come quella tedesca di oggi, dove si tratta di costruire una coalizione di governo, per la sinistra riformista è utile e proficuo parteciparvi.

Del resto la presenza socialdemocratica al governo di Grande coalizione con la Cdu ha fruttato parecchi risultati, forse sottovalutati dagli elettori perché non sufficientemente valorizzati dai dirigenti del partito. Senza la Spd al governo la Germania non avrebbe mai adottato il salario minimo per legge (misura che in Italia è purtroppo ancora una chimera), non ci sarebbe stata la svolta ambientale verso le energie rinnovabili, né un approccio aperto verso l’immigrazione. A questo può aggiungersi anche una certa inflessione del rigore a livello europeo che aveva invece caratterizzato gli anni in cui la Cdu governava con la Fdp. Il rischio è che un ritorno al governo dei liberali faccia tornare in auge queste politiche.

Tutti queste ragioni militano dunque per una scelta di responsabilità da parte socialdemocratica. Purtroppo sappiamo bene che la sinistra, ben più della destra, sente spesso il richiamo della foresta dell’opposizione, immaginandola, a torto, come un ricostituente della propria identità. A sinistra si fatica a governare, perché questo significa per lo più accettare dei compromessi. Eppure questi compromessi sono spesso il freno necessario a politiche liberiste che con la sinistra fuori dal governo avrebbero ancora più spazio.

E forse basterebbe ricordare come i potentati economici abbiano sempre più in simpatia la sinistra massimalista, incline alle piazze, rispetto a quella riformista, che vuole entrare nelle stanze dove si decide il futuro del Paese.

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