Helmut Kohl, padre della riunificazione tedesca

Helmut Kohl, scomparso a 87 anni, era il padre della riunificazione tedesca, allo stesso modo con cui Konrad Adenauer lo era della rinascita democratica della Germania. Due grandi leader per i due fondamentali momenti della vita del Paese degli ultimi settanta anni.

Kohl fu l’uomo che nel 1989, pochi giorni dopo la caduta del muro di Berlino, volle superare quell’innaturale divisione, tra Germania Est e Germania Ovest, ultimo visibile retaggio del Secondo conflitto mondiale. E così in breve tempo, cogliendo davvero l’attimo fuggente della storia, quel cancelliere sino ad allora alquanto grigio e poco carismatico, si trasformò nel grande leader della nuova Germania unita. Kohl riuscì a rassicurare l’Unione sovietica, guidata da Michail Gorbaciov, che la sua Germania aveva ben altre ambizioni che non cullarsi in un revanscismo ormai superato. E lo stesso fece con la Polonia, chiudendo per sempre il contenzioso sulle frontiere, lasciato ancora in sospeso ad oltre quarant’anni dalla fine della guerra. La Slesia, la Prussia e la Pomerania, regioni storicamente tedesche, abbandonate con l’arrivo dell’Armata rossa anche a prezzo di un drammatico esodo della popolazione civile, appartenevano di diritto ormai ai polacchi e il vero avvenire dei popoli europei non stava più in un retrivo, e pericoloso, nazionalismo ma nel grande progetto di unificazione dell’Europa.

E fu proprio l’Europa il suo grande orizzonte. Appena dopo il conseguimento dell’unità tedesca, ci fu il trattato di Maastricht e il progetto della moneta unica. L’arrivo dell’euro significava la fine del marco, simbolo della straordinaria ricostruzione del Paese, eppure la svolta venne compiuta, ancora una volta guardando avanti nella prospettiva dell’integrazione europea. Un progetto per il quale Kohl spese le sue energie politiche, da uomo di grandi convinzioni quale veramente era.

Eppure per lunghi anni, il futuro cancelliere della riunificazione fu considerato un uomo di apparato, un bravo amministratore estraneo però al carisma che avevano altri uomini politici tedeschi, sia socialdemocratici come Willy Brandt, che democristiani come Franz-Josef Strauss, il suo rivale verso la cancelleria, autentico mattatore della Germania conservatrice. Kohl era invece il classico esponente centrista e moderato, poco propenso a qualsiasi fuga in avanti.

Salì al potere nell’ottobre 1982 dopo, per così dire, un golpe di palazzo. I liberali, che per oltre un decennio, avevano infatti appoggiato governi con i socialdemocratici, cambiarono d’improvviso cavallo, decidendo di puntare su quello democristiano. Helmut Schmidt fu così mandato a casa con il ben noto meccanismo della sfiducia costruttiva (si vota contro il cancelliere in carica, avendo già pronta la maggioranza per sostituirlo), e al suo posto emerse Kohl, leader della Cdu.

Rimarrà alla cancelleria per sedici anni, vincendo quattro elezioni consecutive. Poi, nel 1998, perse contro il socialdemocratico Gerhard Schroeder e di lì a poco fu travolto da uno scandalo legato a finanziamenti illeciti al suo partito. La sua parabola pubblica finì lì, quasi dimentica dei successi che l’avevano costellata. La politica è fatta così, tra luci ed ombre, come qualsiasi vicenda umana.

A noi adesso piace però ricordare di Kohl i momenti in cui fece grande il suo Paese e grande l’Europa. Un continente di libertà e di pace. Quella che ancora oggi scorgiamo rivedendo la famosa stretta di mano di Verdun, nel 1984, con il presidente francese Mitterrand. Una spinta ideale che dovremo tornare a far nostra per costruire il prossimo futuro dell’Europa.

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