Lavoro stabile ai giovani per rilanciare l’Italia

L’Italia è una barcollante Repubblica fondata sul precariato ? E’ la stabilità lavorativa che assicura quella sociale, economica e politica. Senza un buon lavoro viene ferita la dignità umana e la democrazia perde il suo primario senso che è quello di assicurare a ciascuna persona la possibilità di perseguire la propria realizzazione e felicità. La precarietà non consente di investire sul futuro, manca l’energia e la gioia peggiorando la vita economica e pubblica. E di conseguenza aumenta la rabbia sociale che sfiducia la politica e i partiti. Un pericoloso corto circuito foriero di guai.

E paradossalmente il sistema pensionistico aumenta la vita lavorativa che costringe gli anziani a lavorare più a lungo mentre milioni di giovani rimangono a campare alla giornata. E se è vero quindi che migliorano le previsioni di crescita dopo anni di sacrifici allora è urge invertire questa rotta. Papa Francesco a Genova dinnanzi ai sindacalisti e operai ancora una volta ha denunciato le storture di un sistema che aumenta le disuguaglianze richiamando la necessità di un “nuovo patto sociale per il lavoro”. Ha sferzato le responsabilità degli imprenditori e anche dei sindacati troppo impegnati a difendere i diritti acquisiti trascurando quelli dei giovani, dei più fragili e delle donne sottopagate. Certo lo scopo delle imprese è fare utili ma qual è poi il loro fine ? Aumentare la ricchezza di pochi azionisti e manager o creare progresso per tutti aumentando l’occupazione ? Le imprese hanno una responsabilità sociale come tanto dichiarato ma meno praticato. Certamente il costo del lavoro in Italia è elevato ed giusto quindi ridurre il cuneo fiscale, ma a patto che questo crei nuova occupazione stabile oltre che incrementi salariali. Patti chiari e benefici per tutti.

Del resto la stabilità reddituale conviene anche economicamente perché assicura quella dei consumi e investimenti. Dobbiamo sconfiggere il criterio speculativo della massimizzazione del profitto mordi e fuggi. Per vincere la crisi economica non bastano i numeri; mercati e politica senza etica creano diseconomie sociali. “ Nessun male sociale può superare la frustrazione e la disgregazione che la disoccupazione arreca alle collettività umane ” rilevava Il grande economista F. Caffè il quale sosteneva che una ripresa senza minore occupazione è una mera indicazione statistica. Il giusto assillo per gli equilibri contabili ha senso se poi produce ricchezza sociale e non perdite umane.

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