Egitto, assalto ad un bus di copti

Non si è ancora spenta l’eco del massacro di Manchester, in Inghilterra, ad opera di un kamikaze affiliato all’Isis, che l’Egitto torna in prima pagine per un attacco ad un bus di copti nel sud del Paese. Trentacinque i morti, tra loro anche alcuni bambini: ennesima strage di cristiani in terra musulmana. A provocarla una decina di uomini armati che hanno bloccato il mezzo ed hanno cominciato a sparare all’impazzata. Un assalto che non si è fermato neppure davanti a dei bambini.

A meno di un mese dalla visita del Papa, l’Egitto, nel quale è presente una forte minoranza copta, è nuovamente alle prese con un bagno di sangue. Pur in assenza, per ora, di specifiche rivendicazioni, è chiara la matrice di fanatismo religioso legata a questo nuovo drammatico attentato che ha colpito il bus dei pellegrini diretti al monastero di Amba Samuel.

Evidente come la presenza cristiana nel Maghreb e in Medio Oriente sia oggi più che mai segnata da un vero e proprio martirio, volto a distruggerne e cancellarne ogni traccia. Per il fondamentalismo i cristiani sono stranieri, una sorta di quinta colonna occidentale nella terra di Maometto. L’integralismo che da anni sta ammorbando queste terre è purtroppo anche un drammatico lascito di scelte errate compiute nei decenni dagli Stati Uniti e, in genere, dall’Occidente. Bisognava sostenere il nazionalismo arabo di matrice laica, aiutandolo ad evolvere verso posizioni più prossime alla democrazia, senza ovviamente illudersi di poter trapiantare libere istituzioni all’europea in aree ove questi modelli sono totalmente avulsi dal contesto politico e culturale. Oggi si sta invece facendo i conti con questo fanatismo religioso, che si richiama ad una visione distorta dell’Islam ma che continua però a far proseliti in alcuni dei settori più integralisti della società. Pure l’Egitto è attraversato da questo integralismo, e la paura domina anche nell’universo musulmano che da secoli convive con i cristiani copti.

Difficile capire come affrontare questa situazione. Arduo, ad esempio, comprendere se la svolta americana a favore dell’Islam sunnita a scapito di quello sciita, possa portare ad esiti positivi nella lotta al terrorismo e, più in generale, ad accrescere la stabilità della regione e la pacifica convivenza delle sue genti. La recente vittoria del riformista Hassan Rouhani in Iran sembra indicare che Teheran stia cercando una certa collaborazione con l’Occidente. Il resto pare tutto nebuloso: la guerra in Siria, la deriva autoritaria della Turchia, l’insistente tentazione confessionale di Israele. Resta l’Egitto, con Al Sisi, barriera contro un fondamentalismo che preme da ovest in Libia e che ha accresciuto la sua presenza ad est, nel Sinai.

C’è bisogno di un più forte raccordo tra Europa e Stati Uniti in tutta l’area mediorientale e il G7 di Taormina potrebbe essere la prima, ed immediata, occasione per discuterne. Di certo servirà il contributo della Russia, perché la lotta al fondamentalismo richiede una comune unità di intenti, non dissimile dalla grande alleanza che sconfisse il nazismo settanta anni fa.

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