Il nuovo riformismo francese

Il nuovo governo francese, guidato dal sindaco di Le Havre, Edouard Philippe, esponente del centro-destra repubblicano, segna una netta discontinuità con le consolidate regole della Quinta repubblica. E’ infatti la prima volta dal 1958 che un esecutivo riunisce figure di diversi e contrapposti colori politici. Personalità repubblicane, centriste e socialiste coesistono infatti in una compagine chiamata ad affrontare una delle più complesse fasi politiche del Paese, tra crisi economica, tensioni sociali e sfide europee. Alle legislative di giugno si vedrà poi se la nuova etichetta Republique en Marche creata e promossa dal neo presidente Emmanuel Macron, saprà convincere la maggioranza dei francesi.

Alcuni sondaggi – da prendere con la dovuta cautela – paiono confortare questa ipotesi, confermando che dopo una tornata presidenziale i cittadini tendono a fornire al Capo dello Stato neo eletto una maggioranza coerente al suo progetto politico. Tra un mese vedremo se sarà davvero così. Per intanto siamo di fronte ad un esecutivo di centro nel quale spiccano tra i ministri i nomi di François Bayrou alla Giustizia, dei socialisti Gerard Collomb e Jean-Yves Le Drian, rispettivamente agli Interni e agli Esteri, del repubblicano Bruno Le Maire all’Economia e di Nicolas Hulot all’Ecologia. Una squadra che, nel suo insieme, pare sufficientemente equilibrata ed esperta per rispondere alle attese del Paese, superando certe rigidità destra-sinistra che oggi è bene passino un po’ in secondo piano.

I partiti tradizionali della sinistra e della destra, Partito socialista e repubblicano, bastonati alle presidenziali, per ora abbozzano, coltivando l’idea di una pronta rivincita alle legislative. Nel contempo nelle fila socialiste si parla di un esecutivo troppo spostato a destra, mentre tra quelle repubblicane si ritiene fallito il disegno del Presidente di spaccare il centro-destra. In realtà è presto per dire se la formula del governo Philippe sia una parentesi, che potrebbe chiudersi se i repubblicani, vincessero le elezioni, o qualcosa di duraturo. Nel primo caso si imporrebbe una coabitazione tra il Presidente e la nuova maggioranza, con nuovo premier a Matignon. Qualora però l’attuale quadro fosse confermato si entrerebbe realmente in una diversa, ed inedita, fase politica. Probabilmente un nuovo bipolarismo.

Alla vecchia sinistra un po’ stereotipata tra una consunta ideologia socialista e un tardo ottocentesco laicismo anticlericale, potrebbe sostituirsi un centro-sinistra di stampo riformista cui farebbe da contraltare una destra conservatrice, separata dal centrismo e dunque meno ostile alle istanze del Fronte nazionale. Un nuovo bipolarismo capace di non escludere consistenti pezzi di elettorato, come oggi accade con i votanti del Fn, del tutto privi di un’adeguata rappresentanza parlamentare.

In quest’ottica sarebbe sensato, e Macron ha inserito questo punto nel suo programma, introdurre una quota proporzionale nella legge elettorale. L’Assemblea nazionale ne guadagnerebbe in rappresentatività e oltretutto l’assorbimento del Fn nel normale gioco politico servirebbe anche a far maturare la sua classe dirigente, assimilandola finalmente alle altre forze politiche. L’estrema destra perderebbe così quell’aura antisistema che gli permette di lucrare più suffragi di quanti ne meriterebbe per la qualità (si fa per dire) dei suoi programmi e della sua azione politica.

Attenzione però, ed è questo il grande rischio del riformismo macroniano, ad un mero appiattimento su un progetto liberista, pronto a sacrificare i diritti e le protezioni dei lavoratori. Nessun progetto di centro-sinistra, e questo vale dappertutto in Europa (ne tenga conto anche Renzi), può infatti reggere se viene rivolto contro le classi lavoratrici. Altrimenti è poi inutile stupirsi se si queste si fanno attrarre dalle sirene nazionaliste ed antieuropee.

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