Ong e migranti

Non ci sono collusioni fra le Organizzazioni Non Governative (Ong) che prestano soccorso in mare e i trafficanti di uomini che imbarcano profughi dalle coste libiche. Questa la realtà evidenziata nel documento conclusivo della commissione Difesa del Senato, illustrato dal presidente Nicola Latorre. Nessuna Ong è sotto le indagine, l’unica inchiesta in corso, in capo alla procura di Trapani, riguarda persone singole, per la maggior parte membri degli equipaggi delle navi noleggiate dalle organizzazioni umanitarie per le operazioni di soccorso.

La conclusione dell’indagine parlamentare contribuisce a fare chiarezza nel mare di fango sollevato contro le Ong, che hanno deciso di intervenire nel Mar Mediterraneo per salvare i profughi in fuga dall’Africa dopo innumerevoli tragedie e, soprattutto, dopo che le istituzioni si sono tirate colpevolmente indietro. Perché la realtà è proprio questa: coloro che avrebbero dovuto farsi carico del problema, ovvero i politici italiani ed europei, non sono stati e non sono in grado di trovare soluzioni efficaci per arginare e governare un fenomeno inarrestabile, limitandosi ad affrontarlo in maniera demagogica e a strumentalizzarlo per aumentare i propri consensi. Nel caso di qualcuno, una politica che, essendo incapace di fare qualcosa di buono, non trova di meglio che infangare ciò che di buono fanno altri. Perché la verità è che l’immigrazione, problema scottante e irrisolto, è e sarà uno dei temi fondamentali di una campagna elettorale ormai in corso e destinata a trascinarsi fino alle prossime elezioni, anticipate o a scadenza che esse siano. Tanto da indurre qualcuno a coinvolgere inopinatamente anche le Ong in questo scontro senza esclusione di colpi, dove chi non può vantare meriti propri punta semplicemente a colpevolizzare gli altri. E il dramma è che è proprio questa parte politica a riscuotere i maggiori consensi nell’elettorato, un segno tangibile di quanto siano cresciute intolleranze, egoismi, paure e disinformazione in un’opinione pubblica che da anni viene bombardata da messaggi allarmistici e polemiche pretestuose, spesso mistificatorie, mentre gli schieramenti di segno opposto faticano a opporre ragionamenti che contrastino queste derive razziste, xenofobe e populiste infarcite di bugie ed esagerazioni. Proviamo allora a fare un po’ di chiarezza, punto per punto.

La bufala dell’invasione. Una parte dello schieramento politico continua a fomentare l’opinione pubblica gridando all’invasione per il continuo afflusso di migranti, sia a livello italiano che europeo. È una bufala, che va smentita seccamente. I dati reali ci dicono che la maggior parte dei fuggiaschi mondiali, stimati in circa 60 milioni di persone, sono tecnicamente sfollati, ovvero restano nel proprio Paese, in zone al riparo da conflitti e persecuzioni, esattamente come succedeva in Italia in tempo di guerra. Coloro che espatriano si fermano spesso nei Paesi limitrofi, infatti il maggior numero di rifugiati si trova in Pakistan (1.600.000), Iran (980.000) Turchia (820.000), Giordania (740.000) e, soprattutto, in Libano, 1.500.000 su una popolazione autoctona di 4,5 milioni di persone, pari a un terzo, come se da noi arrivassero venti milioni di persone, o 150 milioni in Europa. Ecco, i libanesi potrebbero a buon diritto parlare di invasione, però non lo fanno, invece noi sì, anche se nella classifica dell’accoglienza siamo oltre il trentesimo posto, con circa 100.000 rifugiati, uno ogni 600 italiani circa…

Le Ong agevolano i trafficanti. Uno dei punti critici emersi dal lavoro della Commissione è che l’intervento di salvataggio delle Ong agevolerebbe i trafficanti, a causa delle modalità operative che non consentirebbero l’individuazione degli scafisti e il sequestro di strumenti operativi quali telefoni satellitari e motori fuoribordo, che potrebbero quindi essere riutilizzati dai mercanti di uomini. Vale la pena ricordare che l’operazione della Marina Militare italiana Mare Nostrum, voluta dal Governo Letta dopo un naufragio con centinaia di vittime, aveva proprio il duplice scopo di salvare i naufraghi e arrestare gli scafisti. Nel periodo di attività relativamente breve (ottobre 2013-ottobre 2014) in cui è stata operativa, la missione ha soccorso oltre 160.000 migranti, arrestando circa 360 presunti scafisti e sequestrando 9 navi. Un successo operativo e di immagine, che ha notevolmente risollevato le quotazioni italiane in Europa, ma che è stata inopinatamente revocata per sostituirla con le operazioni dell’istituzione europea Frontex, palesemente inadeguate. Solo a quel punto, e a seguito di altre tragedie del mare, sono entrate in gioco le Ong, il cui apporto è progressivamente cresciuto fino a salvare il 35% dei profughi che, unito al 16% dei mercantili, fa sì che oltre la metà dei salvataggi venga effettuato da privati, mentre la quota della Marina è scesa al 4% e la Guardia costiera si attesta al 29%. È chiaro però che i privati e le Ong non possono svolgere compiti di polizia: occorrerebbe dunque che le loro navi venissero affiancate dalle forze dell’ordine (o che alcuni loro rappresentanti fossero a bordo). Ma ancor meglio sarebbe se le istituzioni, nostrane e della Ue, rimettessero in piedi una missione adeguata, come Mare Nostrum, ma ancora più potenziata, facendosi carico in prima persona del problema e consentendo alle Ong di disimpegnarsi e dedicarsi ad altre attività, vedi punto seguente.

Aiutiamoli a casa loro. Uno dei “mantra” preferiti da certa politica è “aiutiamoli a casa loro”, perché mica siamo razzisti, certo che no, però mica possiamo farli venire tutti qui. Peccato che spesso chi dice così fa l’esatto contrario. Tanto per essere chiari, i governi Berlusconi-Lega Nord non hanno fatto altro che tagliare i fondi per la cooperazione internazionale. Dopo che nel 2001 lo stesso Berlusconi aveva promesso di portare i fondi per gli aiuti all’1% del Pil, visto che l’Italia era ultima in fatto di contribuzioni fra i Paesi OCSE, gli esecutivi da lui presieduti non hanno fatto altro che tagliare, a partire dal 2005. In particolare, nel 2011, dopo che sempre Berlusconi aveva promesso in tutti i vertici internazionali di aumentare la quota di Pil destinata agli aiuti internazionali fino allo 0.7% previsto dalla Dichiarazione del Millennio dell’Onu, la finanziaria firmata da Tremonti stanziò un misero 0.1%, squalificandoci irrimediabilmente nel consesso internazionale e provocando la caduta di fiducia nei confronti del nostro Paese che si tradusse con l’impennata del famigerato spread, il valore che determina la crescita dei tassi di interesse che paghiamo sui debiti, sia quello nazionale che i nostri mutui, ora fortunatamente ridisceso. Ad aiutare le popolazioni bisognose “a casa loro” provvedono, ancora una volta e in massima parte, proprio le Ong, senza dimenticare il prezioso lavoro dei missionari, del commercio equo e di altri enti di carità. È proprio questa rete solidale “dal basso” che migliora le condizioni di vita in loco ed evita milioni di partenze.

Non possiamo accogliere tutti. Se continuiamo a farli venire dove li mettiamo che non c’è posto? Classica domanda capziosa travestita da apparente buon senso. A parte il fatto che nessuno dice che bisogna accoglierli tutti e che nessuno li sprona a venire, è evidente che queste persone partono spinte dalla disperazione, altrimenti non rischierebbero la vita in un percorso pericolosissimo, del quale l’ultimo tratto in mare non è nemmeno il peggiore. In più, tanto per fare un esempio, Torino oggi conta 800.000 abitanti, ma in passato era arrivata a 1.100.000, quindi in teoria ci sarebbe posto per trecentomila persone. Stesso discorso per decine di paesini di montagna, ormai semi abbandonanti a causa del decennale spopolamento che ha colpito le zone alpine. In ogni caso il saldo fra nascite e decessi nel nostro Paese è negativo, mentre la popolazione invecchia inesorabilmente. Come ben sanno i demografi, all’Italia servono dunque circa 200.000 immigrati all’anno, che non solo dovrebbero venire accolti, ma soprattutto integrati. Rispettando le diversità culturali, ma mettendo bene in chiaro che è chi arriva che deve adattarsi all’Italia, e non viceversa, come ha recentemente sentenziato la nostra Cassazione, condannando un immigrato per illecito porto di un pugnale “rituale”, previsto dalla sua religione, ma vietato da noi. Chi emigra e sceglie liberamente di stabilirsi da noi deve dunque accettare le nostre leggi, e lo stesso deve valere per usi, costumi e tradizioni. Il fenomeno migratorio deve tradursi in accettazione e arricchimento reciproci, sommando le culture.

Infine, il problema, grave, degli scafisti, i mercanti di carne umana senza scrupoli che si arricchiscono alle spalle dei migranti, sfruttandoli cinicamente e trattandoli barbaramente. Un problema che si potrebbe risolvere alla radice, non già arrestandoli nel Mediterraneo o, chissà, inseguendoli in terra libica, bensì togliendo loro la materia prima. Ovvero facendo ciò che Ong, Caritas e molti altri chiedono da anni: creare canali sicuri per chi cerca rifugio in Europa. È noto che questi disperati versano ai trafficanti cifre considerevoli, mediamente sui 5.000 euro ciascuno. Se le nostre istituzioni si facessero consegnare un corrispettivo analogo per ogni migrante, avremmo un’accoglienza a costo zero: con una parte dei soldi, si acquisterebbe un volo aereo (andata e ritorno) che consentirebbe di farli arrivare in poche ore, in sicurezza e a spese loro. Col resto, si potrebbe mettere in piedi una macchina burocratica in grado di valutare nel giro di poche settimane (e non mesi o anni come adesso) il loro diritto a ricevere asilo politico, mantenendoli (tranquilli, sempre coi loro soldi) per il tempo necessario. In caso affermativo, scatterebbero le pratiche di inclusione, anch’esse da implementare rispetto alla pochezza attuale. In caso negativo, il biglietto di ritorno è già pagato e la persona identificata come non avente diritto, quindi in caso di reingresso illegale la procedura di espulsione sarebbe assai celere.

Ma la politica si guarda bene dal fare tutto quello che servirebbe per governare l’ineluttabile fenomeno migratorio. Preferisce lasciar incancrenire il problema per poi strumentalizzarlo a fini di consenso. E se qualcuno prova a supplire alle loro mancanze, lo accusano di connivenza col nemico, e si offendono se li etichetti col giusto epiteto, “razzisti”.

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