Cattolici e Cinque Stelle: una discussione salutare

E così l’intervista di Beppe Grillo all’Avvenire e quella del direttore dell’Avvenire Marco Tarquinio al Corriere della Sera, del 19 aprile scorso, anziché portare l’attenzione sul contributo del cattolici al futuro del Paese si sono già trasformate in una diatriba tutta interna al mondo cattolico. Un modo per sfuggire al confronto con l’inedito contesto attuale, per non guardare alla sostanziale irrilevanza pubblica del cattolicesimo sociale e democratico, per eludere le nuove sfide per la democrazia.

Forse chi ha nel proprio dna la lezione storica del cattolicesimo democratico e del popolarismo, dovrebbe partire proprio di qui, laicamente, senza scatenare “guerre di religione”, nel tentativo di formulare un giudizio sul Movimento Cinque Stelle, sulle ragioni del suo consenso.

In Italia il cattolicesimo sociale e politico nacque per colmare un vuoto di rappresentanza, che vi era tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. La vecchia classe dirigente di allora si dimostrò impreparata di fronte all’emergere della democrazia di massa. Sulle macerie a cui condussero le politiche errate e miopi dei globalizzatori della belle époque, i cattolici seppero dare un contributo rilevante alla rinascita del nostro Paese: senza figure come De Gasperi e Mattei, Montini e Moro, solo per citarne alcune, la storia contemporanea dell’Italia forse non sarebbe la stessa.

Ora, gran parte di questa ispirazione, di questa capacità di confrontarsi con le sfide del proprio tempo, i cattolici in Italia l’hanno persa. Hanno, abbiamo, vissuto sugli allori, pensando che non toccasse a noi dare risposte per il nostro presente, mentre la storia andava avanti e poneva inesorabilmente nuove domande. Nell’ultimo quarto di secolo, in particolare, si è assistito ad una progressiva assimilazione della dimensione popolare delle variegate esperienze sociali e civili dei cattolici nello schema del primato dei poteri economici e finanziari sulla politica. I cattolici democratici, come altre culture riformatrici liberali o progressiste, sono passati dal ruolo di co-protagonisti nella definizione delle politiche e delle scelte strategiche del Paese ad esecutori di progetti definiti in ambito transnazionale, da oligarchie “invisibili” e prive di controllo democratico.

Da qui deriva la frattura che si è creata con il popolo e che è cresciuta in modo esponenziale con il sopraggiungere della crisi. Frattura da cui sono sorti i “terzi poli” che hanno oltrepassato l’assetto bipolare in quasi tutta l’Europa. Capisco che per molti che hanno condiviso un percorso di impegno da cattolici in politica, parlare dei Cinque Stelle possa risultare imbarazzante. Perché significa parlare in parte di un legame con il popolo che si è incrinato, di politiche, mai discusse democraticamente ma calate dall’alto, che si sono rivelate sbagliate in campo economico, monetario, sociale, internazionale che sono oggi rifiutate con decisione dal sentire popolare, mosso dalla consapevolezza di un impoverimento della vita delle famiglie e di una povertà dilagante, di una mancanza e svalutazione del lavoro, di crescenti disuguaglianze e ingiustizie sociali, di un imbarbarimento delle relazioni internazionali, che vede l’Italia, interrottamente negli ultimi 27 anni impegnata in scenari di guerra.

Il giudizio sul M5S non può che essere articolato così come vi sono aspetti che suscitano domande circa l’organizzazione interna del movimento fondato da Grillo e Casaleggio. Il punto non è il pluralismo politico dei cattolici, che sarebbe sorprendente non coinvolgesse anche il M5S, prima forza politica del Paese, così come non suscitasse altrettanto legittime contrarietà. Il punto è saper cogliere da una presenza così importante di un movimento di popolo uno stimolo, ed una lezione, per un ritorno alle origini del popolarismo: guardare alla nostra storia per attualizzarne il metodo, per contribuire a ridare ossigeno alla democrazia, dando effettiva soggettività politica alle istanze popolari in un disegno profondo di cambiamento economico, avversando in ogni modo il monetarismo che droga l’economia e rende schiavo il lavoro e affermando il valore del multipolarismo nelle relazioni internazionali rispetto all’unilateralismo incendiario visto in questo secolo che ha fatto del Mediterraneo un lago di sangue.

Ma è molto più facile, e deresponsabilizzante, buttarla sull’ennesima polemichetta intraecclesiale.

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