In missione per Medici Senza Frontiere, il racconto di Annalisa

Noi italiani, noi europei, noi occidentali ci lamentiamo spesso degli inconvenienti quotidiani che ci complicano l’esistenza. Siamo talmente abituati al nostro tenore di vita da dare molte cose per scontate, come diritti acquisiti e irrinunciabili, ma dimentichiamo che non per tutti è così. Oltre metà degli abitanti del pianeta non godono del nostro stesso benessere e spesso vivono in condizioni di povertà o miseria estrema, con le drammatiche conseguenze che ne derivano. Per questo è bene che ogni tanto qualcuno ci ricordi questa situazione e ci dia la giusta misura delle nostre condizioni, rapportate in modo oggettivo a quelle di altre realtà. Qualcuno come Annalisa Baldi, operatrice di Medici Senza Frontiere (MSF), una delle maggiori organizzazioni di soccorso umanitario a livello mondiale.

Originaria di Pesaro, infermiera, 31 anni dichiarati con la naturalezza di chi sa di dimostrarne meno, Annalisa ha iniziato ad andare in missione umanitaria già all’epoca dell’università, accumulando un’esperienza considerevole sia in campo medico -in particolare nella medicina tropicale- sia linguistico (parla cinque lingue) sia, soprattutto, dal punto di vista umano. Un curriculum di prim’ordine, che le ha consentito di entrare senza difficoltà nello staff di MSF, una organizzazione che richiede livelli di competenza particolarmente elevati, vista l’ampiezza degli ambiti d’intervento e la delicatezza di molti dei contesti in cui opera.

Per MSF, Annalisa ha svolto una prima missione in Burundi, dove si è occupata di donne affette da fistola vaginale, un problema sconosciuto da noi, ma non raro in Africa. Dotata di un’istintiva capacità di comunicazione, che suscita una naturale e immediata empatia in chi l’ascolta, Annalisa espone questo tema delicato con competenza e semplicità, trasmettendo non soltanto le informazioni mediche relative alla patologia e agli interventi messi in campo, ma anche le emozioni legate al suo lavoro. Le pazienti affette da questo disturbo non restano dunque solo un nome su una cartella clinica, ma, grazie al racconto di Annalisa, diventano persone reali, donne con storie drammatiche alle spalle e una nuova speranza di futuro davanti, anche se non priva di problemi. Questo perché la fistola è una patologia che non ha solo un risvolto medico, ma soprattutto sociale, che condanna la donna affetta all’emarginazione.

Nella maggior parte dei casi, la fistola si manifesta in caso di travaglio particolarmente lungo e difficile, con la testa del nascituro che preme sulle pareti della vagina fino a determinare la necrosi dei tessuti e la conseguente apertura di una lacerazione fra la vagina stessa e il tratto terminale dell’intestino o la vescica, a seconda della posizione della ferita. Questo provoca una grave e cronica forma di incontinenza, a causa della quale le donne, oltre alle complicanze cliniche, subiscono anche una forma di stigma sociale che le rende delle emarginate, cacciate via da mariti e famiglie,con conseguenze psicologiche devastanti. Il progetto di MSF in Burundi aveva lo scopo di recuperare le pazienti sia dal punto di vista clinico che psicologico, in modo da permetterne il reinserimento sociale. Dal punto di vista medico, la cosa non è particolarmente complessa: dopo un’operazione chirurgica di sutura della lacerazione, il decorso è di sole tre settimane e l’esito è positivo nella quasi totalità dei casi. Più complesso il recupero emotivo e sociale, che viene seguito dagli psicologi e beneficia del clima comunitario instaurato all’interno del complesso di cura.

Quello in Burundi, precisa Annalisa, è un esempio di missione di lungo periodo, diversa dagli interventi di emergenza posti in atto nel caso di calamità naturali improvvise, dove l’esigenza primaria è la rapidità dei soccorsi. In una missione prolungata, come la successiva in Repubblica Democratica del Congo –dove Annalisa si occupava di lotta alla malaria- il lavoro può essere programmato con anticipo, consentendo agli operatori di condurre una vita il più possibile “normale”, compatibilmente con le circostanze. A meno che alle normali patologie non si sovrapponga un’altra emergenza, caso non infrequente in Africa, dove le epidemie sono endemiche, cicliche e ricorrenti. Può capitare così che mentre gli sforzi e le risorse mediche sono rivolti a contrastare la malaria, arrivi in anticipo un’ondata di morbillo, patologia che in quei contesti può avere conseguenze letali. In tali circostanze –spiega Annalisa- la missione assume il carattere di urgenza: ecco dunque l’intervento della logistica, che in pochi giorni mette in piedi un reparto dedicato, per garantire l’isolamento. Ma ecco anche un aumento esponenziale del carico di lavoro, che può portare a errori potenzialmente fatali: Annalisa ricorda ancora col magone il momento in cui, per stanchezza, aveva sbagliato l’ordine dei medicinali per il morbillo, chiedendo 100 confezioni invece di 1.000. Un semplice “zero” rimasto nella tastiera del computer, che poteva costare decine di vite e che, comprensibilmente, l’aveva gettata nello sconforto. A rimediare, le parole del responsabile di missione, che andrebbero tenute in mente da tutti noi, anche da chi raramente si trova ad affrontare circostanze così drammatiche:”Annalisa, siamo esseri umani, capita che commettiamo errori”.

Ecco, qui sta l’essenza della missione umanitaria e della solidarietà in genere: chi opera per dare una mano a chi è meno fortunato di noi non è un essere dotato di poteri soprannaturali, un eroe invincibile, ma semplicemente una persona che mette sé stessa a disposizione degli altri, facendo del proprio meglio con la coscienza dei propri limiti. Andando avanti con determinazione nonostante i dubbi, le insicurezze e i momenti di debolezza che tutti noi possiamo avere, perché insiti nella natura umana. Naturalmente, MSF sa tutto questo, per cui è prevista la possibilità di non partire o anche di abbandonare la missione, esprimere preferenze, prendersi pause più o meno lunghe: ciascuno fa come si sente. Il fatto di sapere di avere un’organizzazione così alle spalle dà sicurezza, come pure aiuta il supporto della squadra: per esempio, dei bravi logisti che nell’arco di tre giorni ti procurano le dosi di medicinale che per errore non avevi ordinato…

Momenti, emozioni, ricordi che Annalisa condivide riuscendo a trasmettere lo stesso entusiasmo e passione di chi opera in prima linea e che ci ricordano come anche noi possiamo contribuire alla buona riuscita di queste missioni: non è necessario partecipare direttamente, cosa che pochi sarebbero in grado di fare, basta sostenere coloro che sono in grado di portare soccorso e hanno il cuore abbastanza grande e saldo per farlo. Persone come Annalisa e migliaia di altri come lei, che ci ricordano che il mondo non è solo guerre, terrorismo, tragedie, ma anche solidarietà, giustizia, amore. E che anche la notte più buia vede prima o poi la luce del sole.

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