Artur Mas sotto processo: la questione catalana in tribunale

In Spagna va in scena l’irrilevanza della politica. Il processo dinanzi al Tribunale costituzionale che vede comparire come imputato l’ex presidente della Generalitat, Artur Mas, accusato di aver organizzato una consultazione sull’indipendenza della Catalogna, è per l’appunto, qualcosa che sancisce la fine della politica, trasportando ogni contesa nelle aule giudiziarie. Inutile dire che il codice penale è assolutamente inadatto per dirimere questioni che sono invece di natura politica e che investono piuttosto i principi di cittadinanza e di convivenza democratica. Ed è un vero peccato che la Spagna di oggi non sappia mostrare altro volto che quello delle carte bollate.

Lasciata a sé stante, come sta accadendo da anni, dopo l’avvento del governo di centro-destra, a guida Mariano Rajoy, la questione catalana sta intossicando la vita politica spagnola. Eppure sarebbe bastato fare qualche passo, provando a comprendere le ragioni del disagio di milioni di catalani, mostrando buona volontà quanto meno nel riconoscere nella controparte un interlocutore. Invece, siamo al vuoto più totale. Un vuoto che, di fronte ad un governo indifferente, accresce in Catalogna rabbia e delusione, alimentando una pericolosa deriva secessionistica.

La pendenza giudiziaria di Mas è la coda di una situazione iniziata con il famoso referendum, poi derubricato a semplice consultazione, sull’indipendenza della Catalogna. Tenutasi nel novembre 2014, la consultazione ha visto nettamente prevalere l’istanza indipendentista con l’80% dei suffragi. La partecipazione al voto di poco più di un terzo dell’elettorato (2 milioni su 5,4 aventi diritto) non permette però di dire che la Catalogna abbia scelto realmente questa via. Evidente la forzatura da parte di chi reclama l’indipendenza. Ma vi è un’altrettanta forzatura da parte di chi pensa di imbrigliare in ogni modo questa effettiva, e tutto sommato legittima (date le peculiarità regionali), richiesta di maggior autonomia.
In questi anni Rajoy non ha saputo proporre alcunché ai catalani. Questo è il vero problema. Poi è chiaro che i giudici, chiamati a esprimersi, faranno il loro mestiere che è quello, fondamentale, di verificare l’eventuale commissione di qualche reato. La risposta giudiziaria è però impropria poiché il suo orizzonte esclude, come peraltro è giusto che sia, qualsiasi valutazione politica ed è, per contro, irresponsabile l’atteggiamento pilatesco del governo. E’ infatti sul terreno politico che va ricercata una soluzione, evitando drammatiche radicalizzazioni che, alla fine, penalizzerebbero, come spesso accade in questi casi, entrambe le parti in causa.

Non ci si può trincerare soltanto dietro al fatto che l’ipotesi di un referendum sulla sovranità non è contemplata nella Costituzione, negando quindi di fatto l’esistenza del problema, a rischio di spingere la questione ben oltre il normale alveo istituzionale. Buon senso chiede di dare una risposta politica che può essere, come proposto a suo tempo dai socialisti, un assetto di tipo federale.

Il pericolo di questo attendismo, che Rajoy considera una prova di forza mentre invece è l’evidente manifestazione di una debolezza, è che si finisca prigionieri della classica situazione del “troppo poco, troppo tardi”. Ossia la fase nella quale più nessuna concessione interessa la controparte. Persino quello che fino a poco prima sarebbe stato soddisfacente. C’è da sperare che i rapporti tra Spagna e Catalogna non siano già a quel punto. Certo la notizia che il successore di Mas, Carlos Puigdemont, abbia intenzione per il prossimo settembre, di indire un nuovo referendum per l’autodeterminazione con o senza il consenso di Madrid, non contribuisce a rasserenare il quadro.

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