Capodanno di sangue a Istanbul

Trentanove morti, almeno settanta feriti, questo il drammatico bilancio della strage avvenuta nella notte di Capodanno in una discoteca di Istanbul. Un nuovo fatto di sangue. Un’altra tragica scia di morte, ulteriore tappa di una tremenda escalation di paura che si estende a tutte le latitudini.

Nel mirino finisce adesso la Turchia, un Paese che nella lotta contro l’Isis ha avuto spesso un ruolo un po’ ambiguo. A volte Istanbul è parsa agire più contro i curdi che non contro il fondamentalismo. Una posizione che certo non ha agevolato quel contrasto a tutto campo che servirebbe per sconfiggere definitivamente i loschi figuri che si sono installati a cavallo tra la Siria e l’Iraq. Forse adesso Recep Tayyp Erdogan, presidente di una Turchia sempre più autocratica, dovrà rivedere le sue strategie e aprirsi ad una più seria collaborazione con l’Unione europea.

Dopo la strage non è giunta per ora alcuna rivendicazione, mentre risulta in fuga l’uomo che ha aperto il fuoco durante il veglione. Pare in ogni caso evidente che la matrice cui si ispira questa cieca violenza è quella del fondamentalismo Isis. Una galassia di fanatismo che trova adepti in ogni luogo, spesso senza dar vita a complicate organizzazioni criminali ma appoggiandosi a quei cosiddetti lupi solitari carichi di un odio e di una violenza che diventa difficile fermare.

Non è infatti pensabile accrescere in modo esponenziale apparati polizieschi e strutture di controllo, seppure sul piano investigativo, specie in un’ottica di coordinamento europeo, molto si può ancora fare. Certo, ci aspettano anni di dura lotta che, per molti versi, metteranno anche a seria prova la nostra stessa tenuta democratica e sociale. Eppure, sebbene ci si stagli dinanzi un cammino arduo, lungo e probabilmente, ancora sanguinoso, la sfida, oltre che sul terreno militare, va vinta su quello etico-culturale, non dando spazio alla paura. A quella paura che sta invece alla base di un risorgente e pericoloso nazionalismo che finisce per dividere anziché unire. Proprio la nostra divisione ci rende invece tutti più deboli mentre, mai come oggi, c’è bisogno di cooperazione internazionale a tutti i livelli.

Nessun cedimento allora di fronte a chi, per battere la violenza fondamentalista, pensa di rinchiuderci entro le vecchie e logore frontiere del passato. Non sono la chiusura e l’esclusione le vere risposte contro il terrorismo, perchè proprio paura e diffidenza sono gli elementi nei quali sguazza questo fanatismo il cui fine è minare le fondamenta delle nostre società libere. E su questo piano, che ci parla delle radici stesse della nostra convivenza civile, l’Europa non può che essere in prima linea. Anche perchè, non a caso, essa è il principale bersaglio di questo fanatismo, come la strage di Istanbul, capitale sulla frontiera europea, mostra appieno.

L’anno che si apre ci richiama dunque ad un più rinnovato impegno verso la collaborazione tra i popoli e la solidarietà tra le genti. C’è una comune umanità cui occorre guardare per essere più forti di chi vuole imporci il seme della zizzania, magari sotto forma di un conflitto tra le religioni. Ed è questa comune appartenenza umana che deve prevalere. E con fatica, ne siamo certi, prevarrà.

Print Friendly, PDF & Email

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.