Sotto il cielo di Berlino un altro brutto colpo alla credibilità dei media

Il sentimento di dolore per le povere vittime dell’attentato di Berlino, (fra le quali, pare purtroppo, la nostra giovane connazionale Fabrizia, andata incontro ad una infausta sorte all’estero proprio nel giorno in cui il ministro del lavoro Poletti, che oltre ogni decenza è ancora al suo posto, offendeva i giovani costretti ad emigrare per costruirsi un avvenire) non può esser disgiunto dalla ricerca della verità.

Ma la narrativa del mondo dell’informazione ufficiale ha preso da subito, come in occasione di precedenti fatti di questo genere, una piega sinistra.

Per prima cosa la notizia della rivendicazione dell’attentato da parte dell’Isis è stata data come vera dai media mainstream sebbene vi siano parecchi dubbi, addensatisi negli anni, sull’attendibilità della sua fonte. La fonte è infatti il Site, una società privata con sede nella località di Bethesda, in Maryland, specializzata nel monitoraggio delle attività dei jihadisti online che, fatto alquanto singolare, detiene una sorta di esclusiva nello scoprire audio, video di minaccia all’Occidente e le rivendicazioni degli attentati compiuti dalle varie sigle della galassia del terrorismo jihadista. L’istituto diretto dalla signora Rita Katz riesce laddove i servizi di intelligence delle grandi potenze mondiali non arrivano. Pochissime, nell’informazione nazionale, le voci fuori dal coro, come quella di Carlo Freccero, ad aver posto in dubbio la attendibilità della fonte della rivendicazione dell’attentato.

Secondo elemento. Tutta l’informazione all’unisono non solleva alcuna obiezione su un particolare emerso dagli sviluppi delle indagini delle ultime ore. Come è possibile che anche stavolta, come in tutti gli attentati che hanno sconvolto la Francia (e non solo), da Charlie Hebdo, al Bataclan, a Nizza, l’attentatore sia così sbadato da lasciare i propri documenti sul luogo dell’attentato. Nella fattispecie il tunisino Anis Amri, il ricercato numero uno, dimentica o perde i suoi documenti nella cabina del camion piombato sul mercatino berlinese. Si tratta di un dettaglio assai strano, che almeno dovrebbe essere problematizzato, per dare spazio anche alle ragioni che fanno presupporre che si tratti di un evidente elemento di depistaggio, o, peggio ancora, di sigillo apposto da quell’apparato che ha compiuto lo sporco lavoro.

Perché – terzo elemento sottaciuto – non appare credibile il gesto isolato. Nella scelta simbolica del tempo, del luogo e nella logistica emerge un’azione molto raffinata e complessa, impensabile per qualunque manovale del crimine o apprendista jihadista. Uno spregiudicato messaggio in codice, sgorgato, forse, dagli abissi della vendetta di quei poteri che vedono gli ultimi grandi rivolgimenti bellici e politici andare contro strategie consolidate ed imposte da tempo, anche per le preoccupanti (per la democrazia) lacune del mondo dell’informazione.

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