Referendum, finalmente si vota!

Finalmente ci siamo! Il referendum è ormai prossimo e questa, a ben pensarci, è la notizia politica più bella degli ultimi sei mesi. Non se ne poteva davvero più di questa interminabile campagna referendaria in cui il merito della riforma è stato quasi subito messo in secondo piano. Una contesa troppo spesso incentrata sui destini politici del presidente del Consiglio che ha avuto il grave torto iniziale di personalizzare il voto, affermando che si sarebbe dimesso in caso di vittoria del no.

Un’autentica manna dal cielo per i suoi sempre più numerosi oppositori. Un clamoroso errore che ha irrimediabilmente segnato, in peggio, tutto il proseguo della campagna referendaria. Un abbaglio forse anche dovuto ad una scarsa prospettiva storica. E’ infatti sempre imprudente legare le proprie sorti all’esito di un referendum. Persino Charles De Gaulle, nel 1969, ne uscì battuto, poiché i francesi respinsero il suo aut aut (in un quesito che, combinazione, riguardava il Senato) e lo mandarono a casa. E stiamo parlando del generale che aveva salvato la Francia due volte (nel ’40 dai tedeschi e nel ’58 dal caos algerino), mica di un giovane leader asceso a palazzo Chigi senza neppure un passaggio nelle urne elettorali.

Agli errori del premier si sono poi sommati quelli dei suoi avversari. Alcuni di loro questa riforma l’hanno persino votata. E’ ovviamente sempre lecito cambiare opinione ma qui sorge il dubbio che molte idee siano mutare più per inconfessabili manovre di “cucina politica” che a fronte di un ponderato ripensamento sulla modifica costituzionale. E’ evidente che larga parte dei fautori del no, divisi su quasi tutte le questioni politiche, sono uniti soltanto dalla tentazione di sbarazzarsi di Renzi. C’è chi lo vuol far sloggiare da palazzo Chigi e chi dalla segretaria del Pd. Anche qui, tutto legittimo. E’ normale lotta politica, ma si abbia almeno il coraggio di riconoscere che tutto ciò ha ben poco a che fare con i contenuti della riforma.

Abbiamo insomma assistito più ad un derby tra tifosi che non a quel confronto pacato ed approfondito che sarebbe invece servito per meglio comprendere la questione. Tanto che oggi pare che un italiano su due di questa riforma ne sappia ben poco. Può davvero dirsi che né Renzi, né i suoi variegati oppositori hanno reso un gran servizio al Paese. Hanno tra l’altro contribuito a far credere all’Europa che il referendum sia una sorta di giorno del giudizio, in grado di mettere a repentaglio i destini politici ed economici del Paese.

E dire che se ci si fosse confrontati solo sulla riforma, si sarebbe potuto notare che sia il superamento del bicameralismo perfetto sia la revisione delle competenze tra lo Stato e le Regioni – per accennare solo alle due principali modifiche in ballo – hanno una loro ragionevolezza. Tanto che da decenni qualsiasi progetto di revisione costituzionale del passato, di destra come di sinistra, ha sempre puntato a differenziare i compiti dei due rami del Parlamento. Solo da noi, infatti, Camera e Senato, svolgono esattamente le stesse funzioni. Altrove, e parliamo di grandi democrazie come Francia, Spagna o Germania, vi è un’assemblea eletta direttamente dai cittadini (e perciò controlla il governo con il voto di fiducia e ha una certa supremazia nella funzione legislativa) e un’altra, espressione delle realtà territoriali, eletta con modalità indirette.

Così come può dirsi sensata l’abolizione delle competenze concorrenti, quelle in cui lo Stato emana le norme di principio e le Regioni le regole attuative. Da anni ci si è accorti che questo assetto che sulla carta pareva in grado di valorizzare le autonomie locali, ha in pratica creato una miriade di conflitti di competenza. E poi non ha affatto torto, l’ex premier ulivista, Romano Prodi (forse il solo vero statista che abbiamo avuto negli ultimi venti anni), a dire che, tutto sommato, ci si accapiglia per una riforma di modesta portata. Modesta poiché non cambia la forma di governo (che rimane parlamentare) e non incide sui poteri del presidente del Consiglio.

Detto questo, è logico avere idee diverse, tutte quante rispettabili. Meno logico invece dividere il Paese con argomenti che con la riforma c’entrano nulla, evocando foschi scenari in caso di vittoria dell’uno o dell’altro schieramento. Adesso, come dicevamo all’inizio, siamo per fortuna arrivati al voto e saranno i cittadini a decidere. L’Italia è sufficientemente forte nelle sue istituzioni e solida nel suo tessuto economico, per vivere al meglio questo grande momento di democrazia. E una massiccia partecipazione dei cittadini sarà davvero il modo migliore per celebrare questa bella giornata.

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