Grazie alle sanzioni gli Usa sorpassano l’Italia negli scambi con la Russia

“Anche a causa delle sanzioni l’Italia sta perdendo quote di mercato importanti nell’export verso la Russia: se fino allo scorso anno era saldamente il nostro (l’Italia), il quarto Paese fornitore ora è il quinto, scavalcato proprio dagli Stati Uniti: questo giusto per far capire a chi giovano le sanzioni. Lo ha detto l’ambasciatore della Federazione Russa in Italia, Sergey Razov, il 21 settembre scorso a Bolzano durante un seminario dedicato all’interscambio italo-russo organizzato dall’Associazione Conoscere Eurasia.

Insomma, gli Stati Uniti che hanno preteso che l’Unione Europea comminasse le sanzioni alla Russia, sono quelli che se ne sono avvantaggiati a danno dell’Europa ed in particolare dell’Italia. “Anche quest’anno le cifre dell’interscambio italo-russo non sono affatto soddisfacenti – ha proseguito Razov – . Dopo il -36,2% del 2015, i primi 5 mesi registrano infatti un’ulteriore perdita degli scambi, a -48,8%. Dato che fa scendere la Russia dall’ottavo al tredicesimo posto tra i Paesi fornitori dell’Italia”.

Dati della Cgia di Mestre del marzo scorso attestano, inoltre che, dal 2014 (anno della loro introduzione ) le sanzioni sono costate al nostro made in Italy 3,6 miliardi di Euro, quasi tutti ascrivibili al comparto manifatturiero (macchinari, abbigliamento, autoveicoli, metallurgia, mobili, elettronica). Il crollo delle esportazioni ha coinvolto sopratutto le imprese della Lombardia (-1,18 miliardi), dell’Emilia Romagna (-771 milioni) e del Veneto (-688 milioni).  E secondo gli ultimi dati resi noti al seminario di Bolzano, nei primi 6 mesi del 2016 gli scambi hanno registrato una ulteriore perdita del 48,8%.

Da molti mesi ormai si registra una crescente mobilitazione dei vari comparti produttivi italiani ed europei verso i governi nazionali e l’Unione Europea per superare le sanzioni. Il governo italiano si è battuto per portare almeno in sede di discussione politica la decisione sulla proroga delle sanzioni, le quali tuttavia, sono state rinnovate lo scorso giugno.

Al di là delle posizioni ufficiali, attente a non contrariare il principale nostro Alleato, nelle cancellerie europee si sa bene che le sanzioni danneggiano l’economia europea e che soprattutto non sono giustificabili dalla crisi ucraina, le cui responsabilità vanno divise quantomeno in parti uguali, avendo gli Stati Uniti finanziato con circa 5 miliardi di dollari il cambio di regime a Kiev che ha scatenato la sanguinosa guerra civile.

Per questo avviene che, come ha sostenuto l’ex presidente della Commissione Europea Romano Prodi, il 23 settembre scorso, nella tappa bolognese del seminario italo-russo, “le voci europee che si sono sollevate contro le sanzioni hanno sempre più importanza di fronte alle difficoltà del commercio internazionale. E a essere colpita non è solo la Russia ma anche noi come Paese esportatore”. “Non c’è un futuro tecnologico per la Russia senza un rapporto con l’Europa e non c’è un futuro per l’Europa senza un grande rapporto con le risorse russe – ha aggiunto Prodi –. Noi siamo naturalmente vicini all’Eurasia ma la politica – che trovo certamente irragionevole – in questo momento ci allontana. È uno dei peggiori momenti della politica che ci sta attorno – ha concluso – ma se l’inverno è presente la primavera non può essere lontana, e sono sicuro che tra qualche mese le tensioni si scioglieranno”.

In effetti il giorno precedente a queste affermazioni di Prodi, il vicepresidente degli Stati Uniti Joseph Biden aveva dichiarato da New York: “Sappiamo che ci sono almeno cinque Paesi che sono disposti a dire: vogliamo uscire dalle sanzioni contro Mosca“. In realtà la decisione ultima sulla sorte delle sanzioni europee alla Russia passerà dagli elettori statunitensi, dalla scelta che compieranno alle presidenziali di novembre. Infatti, per quanto imbarazzante possa apparire, è realistico ritenere che l’Unione Europea con la stessa solerzia con cui ha adattato l’attuale linea, pur danneggiando i propri interessi economici e commerciali, si impegnerà ad adottare la linea che la nuova, o il nuovo, presidente degli Stati Uniti indicherà riguardo ai rapporti con la Russia.

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