Comunali 2016: in scena la vera rottamazione

La rottamazione – quella vera – è avvenuta domenica con il voto dei cittadini. Altro che quella in salsa renziana all’insegna del “levati tu, che mi ci metto io”: fuori  Letta e Bersani, dentro – sai che guadagno –  Luca Lotti e Maria Elena Boschi. La vera fine di un’epoca è stata messa in scena a Roma e a Torino. Attesa quella romana, dopo lo psicodramma del caso Marino, sorprendente quella torinese, con la clamorosa sconfitta di Piero Fassino, uno dei migliori dirigenti del Pd.

Detto questo, e registrata una partecipazione appena al di sopra del 50 per cento (dodici punti in meno che al primo turno), nelle altre grandi città in lizza gli esiti sono stati abbastanza scontati. Prevedibile il trionfo di Luigi De Magistris a Napoli, un vero e proprio plebiscito (nella miglior tradizione partenopea), e la riconferma di Virginio Merola a Bologna, a tenere alta la bandiera del centro-sinistra. Il più franco successo del Pd giunge da Milano con Giuseppe Sala che supera Stefano Parisi in un classico duello destra-sinistra. Quando, come è accaduto nella città ambrosiana, viene messa in campo una larga alleanza di centro-sinistra, capace di tenere insieme l’anima riformista e quella radicale, la vittoria arriva. E da sotto il Duomo giungono buone notizie anche per il centro-destra che, presentandosi unito, ha mostrato chiaramente, a dispetto di quanto pensano Salvini e la Meloni, quale deve essere la strada da battere per tornare competitivo.

A Roma, come dicevamo all’inizio, il copione era quasi scontato. La cacciata di Marino da parte dello stesso Pd con la scomposta intromissione di palazzo Chigi, è stata una vicenda talmente surreale che, comprensibilmente, gli elettori si sono rifiutati di riconsegnare la città ad un partito tanto lacerato. A Torino invece dopo anni di sostanziale buon governo da parte di sindaci come Castellani, Chiamparino e lo stesso Fassino, ha prevalso, vigorosa come non mai, la spinta al cambiamento. E come se la città sabauda avesse improvvisamente voluto dire basta a tutta una classe dirigente. Quel “sistema Torino” per tanti anni esaltato, forse oltre i suoi effettivi meriti, adesso sembra esser di colpo venuto in uggia, ben al di là dei suoi reali demeriti.

Ora vedremo all’opera due donne al comando: Virginia Raggi e Chiara Appendino. Governare Roma sarà un compito improbo, forse impossibile, tra clientele, scandali ed inefficienze di ogni genere. Migliorare i trasporti pubblici, la gestione dei rifiuti o la minuta amministrazione: faccende che nelle altre capitali europee appartengono alla normale ordinarietà, nella Città eterna divengono problemi insormontabili. Adesso il M5S ha la grande occasione di mostrare le proprie capacità di governo. E lo stesso vale, pur in un contesto assai meno complicato, anche a Torino. La Appendino parla di ricucire i rapporti tra centro e periferia, tra breve capiremo meglio, messi da parte i facili slogan, cosa ha davvero in mente la neo sindachessa.

Nel resto dell’Italia, Trieste e Novara tornano alla destra; Varese premia invece – dopo venti anni di giunte leghiste – il centro-sinistra, vittorioso anche a Ravenna e a Caserta, mentre nella contigua Benevento tocca al redivivo Mastella far trionfare il centro-destra. Oltre a Torino e Roma, il solo comune capoluogo conquistato dal Movimento 5 Stelle è quello di Carbonia, nel distretto minerario del Sulcis. Questo, il dato complessivo di un voto che, come sempre, vede successi e sconfitte dell’una o dell’altra parte, secondo quell’alternanza che, indipendentemente da chi viene premiato, rappresenta il miglior portato delle elezioni comunali.

Quale messaggio proviene dalle amministrative? Intanto è evidente che una tornata comunale non può incidere sulla tenuta governativa ma risulta altrettanto chiaro che lo scontro permanente non paga. Di questo però parleremo un’altra volta. Per intanto, facciamo un plauso al M5S che si trasforma in forza di governo, premiando due giovani donne, nel segno di una discontinuità che probabilmente fa bene a tutti.

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