Il Giubileo della misericordia

Cinquant’anni fa si chiudeva il Concilio Vaticano II. I semi di una grande svolta della Chiesa erano gettati e nei decenni successivi li avremmo visti fruttificare nel segno di una più feconda apertura all’uomo e alla società del nostro tempo. Davvero quella “ventata di aria fresca”, che aveva indotto Giovanni XXIII a convocare un Concilio, tra la sorpresa e le perplessità della curia. Cose che vengono in mente, mezzo secolo dopo quegli eventi, pensando al Giubileo della misericordia che si è aperto qualche settimana fa.

Un Giubileo che Francesco ha voluto dedicato alla misericordia, occasione per la Chiesa, proprio nello spirito conciliare, di chinarsi amorevolmente sul mondo che la circonda e sui drammi dell’umanità. Il Papa lo ha detto con chiarezza, non c’è giustizia senza perdono e il perdono è davvero il segno della misericordia. E di misericordia ce ne è estremo bisogno in una società piena di tensioni, segnata da profonde divisioni, ferita da un fondamentalismo del terrore che usa la religione come paravento.

Più che mai è necessario un grande abbraccio che avvolga la famiglia umana a tutte le latitudini, per aiutarla a vivere, per accompagnarla nelle fatiche quotidiane. Ecco, proprio questa è l’immagine più vera della Chiesa: madre che si china, con sollecitudine e con amore, sui propri figli. Su tutti quanti. Anche in questo senso va considerato l’auspicio espresso da Francesco per una Chiesa meno incline ad insistere sulla morale e più sull’accoglienza. Meno incentrata sui valori non negoziabili – che tali rimangono ma che, proprio per questo, non vanno sbandierati continuamente – e più sull’abbraccio all’umanità concreta, nelle sue mille contraddizioni.

Certo, la Chiesa è chiamata a tutelare la vita e la famiglia nel segno di quell’umanesimo integrale che è anche progetto divino che la trascende. Però, allo stesso tempo, non è obbligata, ad insistervi tutti i momenti. Altrimenti si rischia la saturazione e, forse, persino un effetto contrario. “La morale cattolica – ha detto il Papa – ha avuto troppo spazio, rendendo la Chiesa inaccessibile a molti. Non possiamo solo insistere sulle questioni legate all’aborto, alle nozze gay e ai metodi contraccettivi. Non si può parlarne in continuazione. Prima deve venire l’annuncio del Vangelo, ed è a partire da questo che vengono, in seguito, le conseguenze morali. C’è bisogno di una Chiesa che curi le ferite e scaldi i cuori dei fedeli. Il primo annuncio è che Gesù ti ha salvato”. Una Chiesa né rigida né lassista, ma innanzi tutto misericordiosa, perché essa non è una dogana, ma la casa del Padre, dove c’è posto per tutti.

Bene allora l’incontro con ogni persona, accompagnandola amorevolmente nella sua difficile quotidianità, nelle vicissitudini di tante sofferenze spesso nascoste. Qui, davvero, si intravede l’autentico volto di un Dio che è soprattutto amore, al punto da incarnarsi nelle vicende della storia umana. Non lo sguardo di un giudice, ma quello di un Padre che accoglie i propri figli e li aspetta quando si allontanano da lui, per abbracciarli quando li vede tornare.

Questa è la Chiesa. E la misericordia ne è l’aspetto più vero, più vivo e più fecondo. Certo, l’errore va corretto; certo, gli sbandamenti sono sempre in agguato; certo, occorre poi ritrovare se stessi. Ma proprio l’ascolto, l’abbraccio e l’accoglienza sono il segno che tutto può essere perdonato. Che c’è un Padre in perenne attesa. Che basta rivolgersi a lui, superando quell’orgoglio e quell’autosufficienza che spesso rimangono, nell’odierna società secolarizzata, gli ostacoli più grandi ad abbandonarsi totalmente fra le sue braccia.

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