Il governo, oltre gli annunci

Sta emergendo un grande contrasto tra l’esito del voto europeo e la direzione di marcia del governo. Gli italiani, o almeno quell’elettore su cinque al netto dell’alto astensionismo che ha scelto il Pd, hanno conferito a Matteo Renzi un forte consenso non per sentirsi rivolgere altri annunci mirabolanti ma per incominciare a raddrizzare un po’ la situazione del Paese.

Gli ottanta Euro sono stati una boccata d’ossigeno per molti, lasciando a bocca asciutta larghi strati di popolazione che ne avrebbe avuto più bisogno, ma rischiano di aver prodotto più voti che consumi, perché il quadro generale permane troppo incerto. Il loro effetto risulta quasi del tutto annullato da un consistente aumento delle tasse, che già sono a livelli insostenibili, sulla casa, sui risparmi, sui bolli.

Non si delinea ancora un progetto di politica economica e industriale che non sia la semplice svendita dei nostri migliori asset industriali a fondi come Blackrock e compagnia. Manca l’idea di imprimere una scossa all’economia con un grande piano di investimenti per il lavoro e per lo sviluppo. Il piano sul lavoro, il jobs act, è limitato ad aspetti che riguardano perlopiù le norme contrattuali e non aggredisce la grossa perdita di posti di lavoro che si è registrata in Italia negli anni della crisi. La riforma della pubblica amministrazione e la semplificazione burocratica sono materie enormemente complicate e necessitano di energie e competenze molto ampie: bisogna entrare nel merito delle procedure, ricostruire dei livelli di responsabilità e non procedere per slogan. La riforma degli enti locali è parsa andare incontro ad una moda, l’abolizione delle province, ma si è tradotta solo con la non eleggibilità dei loro organi. È mancata una visione capace di allargarsi a tutti gli enti locali, comprese le regioni. Non c’è nel progetto del governo nessuna effettiva abolizione del Senato, ma solo il fatto che i suoi membri non saranno più elettivi.

Lo specchio del modo in cui l’Esecutivo intende gestire il consenso enorme che ha da poco ricevuto, è costituito dall’Italicum. La riforma elettorale sostenuta da Palazzo Chigi con il concorso determinante di Forza Italia, è in sé peggio del porcellum, i deputati rimangono nominati ma viene introdotto il ballottaggio che penalizza le forze minori. Ma l’Italicum è anche reso peggiore del porcellum dal fatto che, nelle intenzioni del governo, è abbinato alla riforma del bicameralismo, dimenticando che se si vuole un sistema monocamerale insieme bisogna pensare ad una legge elettorale che sia coerente. Altrimenti si va a costruire un sistema a vocazione plebiscitaria che ci allontana dalle altre democrazie europee. L’uomo solo al comando, la forte personalizzazione della politica, l’insofferenza per le posizioni diverse da quelle del Capo, stanno già producendo una mutazione genetica del Partito Democratico che paradossalmente è entrato nel Pse mentre la sua guida si va facendo populista ed in qualche modo erede del modello berlusconiano. Se fosse questa la direzione intrapresa dal governo Renzi potrebbe essere molto amaro per l’Italia doversi risvegliare da un sogno che l’aggravarsi della crisi economica e sociale, e delle tensioni internazionali inaudite che ormai ci circondano, potrebbero presto infrangere. Si avverte sempre più la necessità di impegnarsi per chiudere la lunga pagina delle leadership plebiscitarie che impediscono al Paese di ripartire.

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