La politica torni a dare voce alle persone in difficoltà

La Coldiretti in un recente convegno ci ha ricordato che anche in Italia esistono i poveri e l’area della povertà nella crisi si sta allargando a vista d’occhio. Dal 2010 i nuovi poveri in Italia sono aumentati del 47%: sono 4.068.250 le persone che nel 2013 hanno chiesto aiuto per sfamarsi e 1.304.871 sono le persone che negli ultimi tre anni sono passate dalla sussistenza alla povertà.
Un aumento esponenziale degli indigenti c’è stato in particolare tra bambini e pensionati, nel 2013 sono 430.000 i minori che hanno chiesto aiuto registrando un aumento del 13%, mentre gli over 65 sono stati 578.583, con un incremento del 14%.
L’Istat ci dice che nel 2012 la Povertà Relativa toccava il 12,7% delle famiglie italiane. Si considera povera una coppia che vive con un reddito inferiore al reddito medio pro-capite presente in quel momento e in quel territorio. Il reddito che individua tale soglia ammontava nel 2012 a 990 euro per una famiglia con 2 componenti, a 1.317 per una famiglia di 3 componenti, e così via.
Il 6,8% delle famiglie italiane ha un reddito che sta al di sotto della soglia della Povertà Assoluta, che è l’indicatore che si calcola sulla base del costo del paniere di beni e servizi ritenuti indispensabili. Nelle aree metro politane del Nord tale soglia, per una sola persona ammonta a 806 euro al mese, nei piccoli comuni a 723 Euro/mese, mentre nelle aree metropolitane del centro la soglia si attesta a 785 Euro/mese, 696 per i piccoli comuni, al sud nelle aree metropolitane la soglia è di 593 euro/mese e nei piccoli comuni di 537 euro/mese.
Questi indicatori sono utili per misurare il fenomeno, ma nella loro aridità non danno una rappresentazione del dramma vissuto da un numero crescente di persone che a causa dell’età che avanza, della perdita del lavoro, della diminuzione del potere d’acquisto delle pensioni e dei salari e della conseguente contrazione dei consumi, scivola ai margini della società.
Questo zoccolo duro, che a causa della crisi si va sempre più irrobustendo, non sarà facile demolirlo e rischia di permanere anche dopo la tanto auspicata, quanto annunciata, inversione di tendenza dell’economia.
Abbiamo fatto qualche cenno alla povertà più appariscente, quella intesa semplicemente come mancanza o scarsità di risorse economiche. A questa si aggiungono quasi sempre le cosiddette Povertà Urbane: se i senza dimora sono l’espressione più tangibile della povertà estrema, non sono meno drammatiche le situazioni che hanno visto la rottura delle reti familiari e relazionali, la caduta delle aspettative. C’è tutto un mondo che va dagli anziani soli, senza legami familiari ed affettivi a chi è stato espulso dall’attività lavorativa, anche prestigiosa e per ragioni anagrafiche o di obsolescenza professionale che non trova occupazione. Ci sono le povertà silenziose di chi conduce un’esistenza apparentemente normale, ma con dignità sopporta la progressiva emarginazione sociale. C’è chi non ce la fa a tirare la fine del mese, ma non osa chiedere aiuto, chi vive in solitudine e si auto emargina dal contesto sociale. C’è chi ha rotto i legami familiari e si trova in solitudine ad affrontare la crisi e le difficoltà dell’esistenza, con risorse decrescenti.
Sono molte le forme di povertà non appariscenti, che sfuggono alla protezione del welfare tradizionale e che solo una rete efficace di volontariato riesce ad intercettare. Questi fenomeni però non possono essere lasciati solo alla buona volontà di persone eccezionali, sensibili, motivate e disponibili. Bisogna ridare voce agli indigenti, agli emarginati, alle persone in difficoltà e la politica, in un paese democratico, non può non farsene carico. Al fondo delle condizioni di povertà in cui vivono milioni di famiglie, vi è però la causa prima, intollerabile, di un fenomeno più generale: la diseguaglianza. La povertà quantificata dalle statistiche non è che il punto più basso di una lunga scala di diseguaglianze. Esse sono spesso tollerate e giustificate come l’incapacità degli individui di farsi largo in una società sempre più competitiva e selettiva e non come sarebbe corretto invece, considerare le diseguaglianze come il prodotto distorto di una società ingiusta, che può essere corretto solo attraverso l’intervento di politiche adeguate. La diseguaglianza, purtroppo, non compare più nelle agende della politica come una distorsione da contrastare, compare sempre più l’intolleranza nei confronti delle diversità.

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