Pensioni: riformare la riforma Fornero

I giovani oggi, come è noto, faticano a trovare il lavoro e se lo trovano è precario per periodi sempre più rilevanti. In tante aziende avvengono licenziamenti a causa della chiusura dell’attività o trasferimento delle produzioni in altri paesi. In altre aziende, causa riorganizzazioni, si generano fenomeni massicci di espulsione di personale con età, indicativamente, sopra i 50nni. Paradossalmente, in questo contesto, la Legge Fornero ha innalzato gli anni necessari per pervenire alla pensione di anzianità e di vecchiaia, ovvero per la prima occorrono circa 42 anni continuativi di contributi mentre per la seconda circa 66 anni di età; la motivazione dell’innalzamento risiede nel fatto che oggi l’età media di vita è aumentata. Ora circa quest’ultima argomentazione viene da considerare che è vero ma che la questione veraa è se questa corrisponde dopo una certa età alla capacità (a seconda delle varie attività svolte), di essere ancora nella pienezza delle facoltà fisiche-psicologiche per reggere a certi carichi di lavoro. Ma la questione sostanziale è se questi tetti pensionistici siano realistici rispetto al contesto attuale che vede appunto una precarietà e frammentarietà del lavoro giovanile e a processi di dismissioni elevati di chi ha raggiunto una certa anzianità di servizio. E’ quindi evidente che la Legge Fornero è sconnessa rispetto al contesto socio economico e che è stata assunta solo in funzione di una emergenza finanziaria che nel 2012 attanagliava l’Italia. Oggi sta causando evidenti ingiustizie provocando forti tensioni sociali. E’ evidente che se una persona dopo circa 30-35 anni di lavoro ( e quindi di versamenti contributivi) viene a perdere il posto con note difficoltà a ritrovarlo, il raggiungimento dei 66 anni per usufruire della sua dovuta pensione appare una beffa oltre al danno. Vi è da rilevare inoltre che data la mancanza di posti di lavoro per giovani, le famiglie di origine ove ancora qualcuno è in attività o in pensione, oggi si fanno carico di sostenere i figli in difficoltà i quali tra l’altro non potendo essere indipendenti non possono investire sul proprio futuro e quindi in quello del Paese. Questa situazione pone gravissimi danni alle famiglie, gonfia il risentimento e la protesta e rischia di gravare ulteriormente le casse del welfare che si trovano a fronteggiare un continuo aumentare delle situazioni di grave disagio, di povertà crescenti. Il fenomeno degli esodati, cioè persone senza lavoro e pensione, rischia di divenire enorme e quindi dirompente. Insomma è un sistema iniquo e non funziona. Un cortocircuito che va dipanato con urgenza. La questione è talmente evidente che il Ministero del lavoro, risulta, sta elaborando nuovi criteri previdenziali ipotizzando di introdurre meccanismi di flessibilità che accorcino questo evidente gap. E’ del tutto evidente che nella situazione precaria delle finanze pubbliche questo si deve misurare con la capacità di avere le risorse monetarie necessarie. Si tratta di introdurre in sostanza cosidette “finestre” per pensionamenti anticipati graduati e accompagnati fino al raggiungimento delle età e situazioni che danno diritto alla piena pensioni. Vi sono diverse ipotesi su cui stanno lavorando i tecnici del Ministero e che dovranno essere confrontate e concordate con i Sindacati e le organizzazioni imprenditoriali, cioè con tutte le parti sociali. Il tempo però stringe, la ripresa economica stenta a decollare mentre questi fenomeni continuano ad aumentare. Occorre che il Governo e il sistema politico si diano un timing stretto per evitare l’esplosione della protesta sociale. In questi giorni, ove si sta doverosamente discutendo pressantemente delle tematiche del lavoro imposto dalla presentazione da parte di Renzi del “Job Act”, questi temi riorganizzativi devono essere inclusi. Allargando lo sguardo al futuro bisognerà poi chiedersi come, in un contesto lavorativo che pare presentarsi per le nuove leve sempre più flessibile-precario sia possibile -con queste regole- costruirsi una dignitosa pensione in previsione della vecchiaia. Se non ci poniamo queste domande e non si danno risposte rischiamo di avere nei prossimi decenni intere generazioni allo sbando. I tempi stringono e le risposte urgono e quindi grande è la responsabilità sulle spalle delle classi dirigenti che devono coniugare capacità di visione politica con quelle matematiche.

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