Credenti e non, costruiamo insieme un’alternativa alla “globalizzazione dell’indifferenza”

Su un punto non si può che concordare sul giudizio che Piero Ostellino dà di papa Francesco: la spettacolarizzazione che i media fanno dei suoi gesti e del suo pensiero rischia talora di deformare la profondità del messaggio. Anche per cogliere l’indicazione che viene dal suo recente viaggio a Lampedusa occorre andare oltre l’emotività. Le altre considerazioni dell’ex direttore del Corriere della sera sui tratti distintivi del pontificato di papa Bergoglio, ribadite nell’editoriale del 16 luglio, appaiono confutabili. In sostanza per Ostellino, papa Francesco sarebbe la foglia di fico pauperista e terzo mondista che una Chiesa segnata dagli scandali sessuali e finanziari ed in crisi di vocazioni, avrebbe scelto per il suo rilancio, per proporsi come oppio dei popoli sottosviluppati che ancora credono alle superstizioni. Con questa scelta pauperista la Chiesa, secondo Ostellino, avrebbe commesso un doppio errore: si tratterebbe di una scelta sbagliata sotto il profilo del marketing, del proselitismo ed esporrebbe la comunità civile al rischio di una sottovalutazione del principio di realtà, di derive populiste, insomma.

Di queste due accuse la prima ha un destinatario errato. Mezzo secolo dopo il Concilio, ma anche guardando ai documenti dell’ultimo Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente del 2010, non ci sono più appigli per sostenere che la Chiesa faccia proselitismo. “Fare proseliti non è quello che Dio vuole da noi”, ha affermato papa Francesco il 15 giugno scorso durante un’omelia e lo ha ribadito in più occasioni in questi pochi mesi di pontificato. L’altra critica non vede la Chiesa come responsabile, soprattutto in relazione al contesto italiano. In questi anni non la Chiesa, ma le distorsioni economiche e finanziarie, quelle istituzionali e burocratiche hanno alimentato le diverse forme di populismo rappresentate dal berlusconismo, dal leghismo, dal grillismo.

Dunque, l’elezione del papa argentino che predilige i poveri, non può essere intesa come una “operazione trasformistica” con la quale una Chiesa tutta mondana si comporterebbe come una corporation per rifarsi l’immagine e aggiustare i propri affari. Anche da un punto di vista da non credenti, si può comprendere che l’intento che anima il papa è solo quello dell’annuncio del Vangelo, che fa risaltare la centralità della persona umana. Il laico Ostellino preferirebbe un papa che benedice i moderni santuari innalzati all’idolo del profitto, i derivati, le grandi banche d’affari, come una volta dei religiosi benedivano le armi da guerra, oppure un pontefice e con lui il pensiero sociale della Chiesa, che nel solco tracciato dalla Caritas in veritate, cerca di condividere con l’umanità il tortuoso percorso di uscita dalla crisi?

Perché questa è la domanda che pervade l’omelia di papa Francesco a Lampedusa. Come ha osservato Alberto Melloni su Vatican Insider,  la sua prospettiva è completamente diversa, “vede al centro l’ultimo, la presenza di Cristo nei poveri”. Questa presenza giudica innanzitutto la Chiesa non il mondo, a partire peraltro da un principio non solo religioso ma anche laicissimo come la fraternità. In nome della quale papa Francesco ha denunciato l’individualismo che “ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone”, che portano alla “globalizzazione dell’indifferenza”. E prendendo spunto dal problema dell’immigrazione da Lampedusa, ha esteso questo discorso a tutti i problemi generati dalla crisi.

Ed è stato anche chiaro nell’indicarne le cause: quelle “decisioni socio-economiche» che sono state prese   “nell’anonimato” “a livello mondiale”, per arrivare ad assumersi persino le responsabilità con la richiesta di perdono “per coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi”. Difficile sostenere una mancanza di realismo e anche vederci del pauperismo calcolato laddove emerge, per chi analizza le parole del papa senza pregiudizi o processi alle intenzioni, un contributo ed uno stimolo a tutti gli uomini di buona volontà a scongiurare gli effetti catastrofici della crisi attuale, di cui i drammi dell’immigrazione nel Mediterraneo rappresentano un’emergenza. A costruire un’alternativa alla “globalizzazione dell’indifferenza”.

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