Testamento biologico, il testo del Senato è “perfettibile”

Intervista pubblicata su “Quotidiano Nazionale” il 15 settembre 2009. La riproponiamo per aprire un dibattito anche sul tema del “fine-vita” o, se si vuole, sul “testamento biologico”. Una questione di metodo, oltre che di merito, come sta dimostrando il faticoso cammino dei disegni di legge sull’argomento.

 

Oggi inizia alla Camera dei Deputati l’esame del disegno di legge sul testamento biologico già approvato dal Senato. Un testo giudicato importante e anche equilibrato, se non fosse per qualche elemento definito “fondamentalista”, inserito sull’onda delle contrapposizioni vissute col “caso Englaro”. Chi sostiene questo pensa soprattutto alla parte che inibisce ogni e qualsiasi sospensione di alimentazione e idratazione.

Anche nel centrodestra si sono levate voci critiche e recentemente, in diversi interventi, il ministro e coordinatore del Pdl Sandro Bondi, ha definito quel testo «perfettibile e migliorabile». Una proposta viene dalla sezione milanese dell’Amci (associazione dei medici cattolici italiani) per bocca del suo presidente, professor Giorgio Lambertenghi Deliliers, 69 anni, direttore del Dipartimento di Scienze mediche dell’Università di Milano.

«Abbiamo prodotto un documento molto articolato sull’argomento. — dice — Ma in questa sede vorrei avanzare sostanzialmente quattro punti: impedire un uso strumentale della legge; ascoltare gli esperti sulla questione della nutrizione forzata artificiale; ripensare il testo con serenità; dare il giusto peso alla alleanza terapeutica fra medico e paziente».

Professor Lambertenghi, partiamo dall’inizio. Un cattolico dice no all’eutanasia, ma respinge anche ogni forma di accanimento terapeutico, vero?

«Proprio così. Il problema è trovare il confine dell’accanimento. Ricordo solo che già nel 1970 Paolo VI scrisse ai medici cattolici: fermo restando l’obbligo per il medico di dedicarsi a “lottare contro la morte”, ciò non significa “obbligarlo a utilizzare tutte le tecniche di sopravvivenza che gli offre una scienza instancabilmente creatrice”. E si domandava: “In molti casi non sarebbe forse un’inutile tortura imporre la rianimazione vegetativa nella fase terminale di una malattia incurabile?”, e parlava di “vita non più pienamente umana”».

Ma qui stiamo parlando di idratazione e alimentazione, non di “trattamenti sanitari”…

«Esiste tutta una gamma di situazioni e dunque va adottato un criterio di proporzionalità. Nessuno intende negare acqua e cibo al paziente in stato terminale o vegetativo, ma il modo di farlo può essere differente. Come dice con onestà intellettuale il cardinale Carlo Maria Martini — e come abbiamo ripreso nel nostro documento — c’è distinzione fra cure ordinarie e straordinarie, così come fra curare e prendersi cura. L’alimentazione e la idratazione fanno parte del prendersi cura, certamente. Ma quando implicano l’uso di tecnologie, di macchine, di un’assistenza sanitaria continua, soprattutto di carattere laboratoristico, la nutrizione forzata e artificiale diventa un atto medico e terapeutico. Ecco allora che il suo prolungarsi — per 10-15 anni e più, come nel caso di Eluana — può diventare accanimento».

Come fa a dirlo?

«Abbiamo sentito i massimi esperti in rianimazione, come per esempio Luciano Gattinoni. Ci hanno detto che la nutrizione forzata artificiale è un fatto medico e quindi può rientrare nella casistica dell’accanimento».

E allora?

«Allora il medico deve valutare la proporzionalità circa i modi e i tempi del procedere, prendendo atto con onestà che quegli interventi a volte non ottengono il fine voluto o sono troppo gravosi per il paziente, e si rischia di scivolare verso l’eroismo».

Non si rischia così di far morire di fame e di sete il malato?

«Non è giusto dire questo. Perché una cosa è idratare con una flebo, altra cosa è l’utilizzazione di tecniche sofisticate. Oppure somministrare cibo attraverso un sondino che può essere estremamente faticoso, difficoltoso, fastidioso».

Ma chi decide?

«Noi chiediamo una “alleanza terapeutica” fra medico e malato. Mi spiego: l’autonomia del paziente è fuori discussione, ma la sua autodeterminazione non va intesa in senso assoluto. C’è sempre la professionalità e la libertà del medico di seguire le indicazioni, valutando in scienza e coscienza se la nutrizione forzata artificiale rientra nelle cure ordinarie o straordinarie. In Francia non è così: là il medico diventa un po’ “esecutore testamentario”, rinunciando alla sua responsabilità».

Che ne pensa l’arcivescovo di Milano, cardinale Tettamanzi, peraltro esperto di bioetica?

«Il cardinale ha letto il nostro documento e lo condivide. In effetti tutti i nostri documenti vengono sottoposti all’autorità del vescovo. Egli sostiene l’importanza dell’agire medico secondo scienza e coscienza e il rispetto delle volontà del malato».

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