Le Acli e la politica: una iniziativa di cui ha bisogno il Paese

Olivero, Bersani e Bottalico

Andrea Olivero, Pierluigi Bersani, Gianni Bottalico

Chi, come il sottoscritto, da tempo avverte che per la seconda repubblica è arrivato il tempo del tramonto (cfr. ad es. Il Giornale dei lavoratori ottobre 2010) non si può stupire dell’attuale protagonismo politico della società civile, con il secondo convegno di Todi, in campo cattolico, o con iniziative come il Manifesto verso la Terza repubblica.

Attraversiamo una fase di passaggio, e di possibile svolta, in cui tutti i nodi irrisolti stanno venendo al pettine. E, sfortunatamente, i problemi del Paese si sommano sul piano internazionale alle ben più gravi criticità dell’economia e della geopolitica, rendendo il momento attuale assai delicato. Se non si ha presente la novità e la straordinarietà della situazione si rischia di non comprendere quale sia la posta in gioco anche nelle vicende della politica italiana.

In vista delle elezioni politiche del prossimo anno, infatti, il problema che si pone riguarda innanzitutto il “come” avverrà quest’appuntamento più che il “chi” ne sarà protagonista. Ora che emergono tutti i limiti di una personalizzazione della politica che non di rado è sconfinata nel cesarismo, a tutti i livelli istituzionali ed in particolare nelle regioni, si è costretti a fare i conti con la fine della seconda repubblica. Certo, si può fare come lo struzzo e nascondendo la testa nella sabbia, continuare a ripetere che l’importante è che funzioni un bipolarismo e una alternanza di facciata, mentre stanno saltando in realtà tutti gli schemi della rappresentanza sociale e politica. Ma si può anche decidere di guardare in faccia la realtà e almeno per le cose che sono ancora in potere degli stati – molte di più di quanto comunemente si creda – provare a cambiare rotta. Per l’Italia questo significa archiviare definitivamente una stagione iniziata nel 1994 all’insegna della reciproca demonizzazione degli schieramenti avversari, della polemica contro il consociativismo e conclusa l’anno scorso con il fallimento del governo di centro destra e la nascita del governo Monti, sostenuto da PD, PDL ed UDC.

Proporsi l’obiettivo di avviare una nuova fase politica per quei cattolici che hanno a cuore le nuove questioni sociali del 21° secolo, significa non accettare un ulteriore logoramento sociale e politico che potrebbe portare a delle conseguenze imprevedibili per la democrazia.

Il nocciolo della questione è di natura economica e sociale. La perdita di centralità culturale e di valore economico del lavoro, verificatasi da qualche decennio e da cui hanno potuto trarre origine le follie della speculazione finanziaria che sta portando ad una stagnazione globale senza precedenti, ha provocato anche in Italia una modificazione “strutturale” della società. I ceti medi e lavoratori si stanno impoverendo, le famiglie sono allo stremo ed il mix di tassazione eccessiva e di salari bassi (quando ci sono) sta deprimendo fortemente i loro consumi e pregiudicando la loro capacità di risparmio. In mancanza di una iniziativa politica commisurata a questi processi, la società tende spontaneamente a chiudersi a riccio. I ricchi e con essi chi ce la fa ancora, chi ancora dispone di un lavoro o di redditi da impresa o lavoro autonomo tendono ad occupare tutti i posti dirigenziali, a non sentire i morsi della crisi fino a che non la sperimenteranno sulla loro pelle. Il rischio è che i gruppi dirigenti dei partiti e delle organizzazioni sociali si lascino anch’essi trascinare da una tale tendenza. Questa omogeneizzazione degli obiettivi finisce per trasferirsi in politica e, come si è visto negli anni scorsi, non sempre i progetti politici risultano essere in reale alternativa fra di loro.

Ecco quindi che, in una fase di transizione nella quale può ancora succedere di tutto, in cui gran parte dell’elettorato (in primis quello cattolico) oscilla tra la tentazione dell’astensionismo e quella del voto di protesta, si avverte la necessità di spezzare il cerchio, di scongiurare il rischio di autoreferenzialità e di chiusura nelle logiche di palazzo o di partito e di contribuire al rinnovamento della politica. Su questo piano si innesta la “politicità” espressa in questi anni dalle Acli, intesa come capacità di essere significativi nel dibattito pubblico sui temi del lavoro e del welfare a partire dall’azione sociale dell’Associazione, dall’analisi degli indicatori sui redditi e sulla condizione dei cittadini e delle famiglie di cui dispongono il Caf ed il Patronato. Laddove si è attuata tale forma di politicità si è visto che la realtà economica e sociale del Paese risulta ben diversa e ben più bisognosa di interventi di quella presentata dai dati ufficiali. Come non pensare allora, ed era il senso del recente Incontro di Studi di Orvieto, di rafforzare la rappresentanza politica nello schieramento riformatore, anche in forme dialettiche con i partiti se necessario, di queste istanze che percorrono i settori centrali e maggioritari della società italiana, dando loro forza politica ed incanalandole in un percorso democratico e solidale anche con il coinvolgimento di quella parte dell’élite economica più illuminata socialmente? In ciò mi pare consista la scommessa del presidente delle Acli Andrea Olivero e non in operazioni di stampo politicistico fuori dal tempo, di sapore neocentrista rese peraltro impraticabili dalla “duttilità” del partito di Bersani, partito di centro sinistra, a prescindere dalle alleanze e nel contempo perno di un nuovo sistema di alleanze dello schieramento riformatore che si candida a guidare l’Italia dopo Monti, conservando tuttavia il meglio dell’esperienza dell’attuale governo.

Un progetto che può risultare più chiaro se guardato dalla parte degli interessi del Paese anzi che da quella della opportunità e delle prospettive di impegno individuali.

 

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