Doppio turno arenato sullo scoglio del semipresidenzialismo

Ancora una volta il centro destra ha preso l’iniziativa sulle riforme istituzionali a causa delle indecisioni e delle divisioni che persistono negli altri schieramenti di centro e di centro sinistra. Le forze politiche non si sono dimostrate capaci sinora di trovare una minima intesa sul superamento del “porcellum”, nonostante la crescente disapprovazione dell’attuale legge elettorale nell’opinione pubblica e nonostante i reiterati inviti del Capo dello Stato a procedere con questa riforma.

Le elezioni si avvicinano e cresce in tutti i vertici dei partiti il desiderio inconfessabile di poter controllare la formazione dei rispettivi gruppi parlamentari anche a costo di rischiare un suicidio collettivo della loro residua credibilità. Una tale prospettiva non sembra essere contrastata con il dovuto vigore neanche tra le forze di centro sinistra. Tra le quali, anzi, sta serpeggiando la tentazione di aprire alla proposta del PDL di un sistema elettorale a doppio turno che preluda ad una riforma del sistema di governo in senso presidenziale.

Le maggiori incertezze sembrano provenire dal Partito Democratico nel quale coesistono due anime. L’una di ispirazione più europea che crede nella forma di governo parlamentare, che sussiste nelle principali democrazie europee, eccezion fatta per la Francia. Questa area punta quindi a rafforzare il ruolo del partito nella selezione della leadership e guarda con interesse a sistemi elettorali di tipo proporzionale simili a quelli presenti in Spagna o in Germania.

L’altra anima del PD su questa materia è rappresentata da quanti guardano al modello statunitense, con partiti ridotti a comitati elettorali e con un ricorso sistematico e quasi salvifico alle primarie. Va da sé che laddove viene meno il ruolo dei partiti nella selezione dei gruppi dirigenti questo compito viene svolto dal censo e la politica tende a ridursi ad una fotocopia di quelle che sono le gerarchie economiche e sociali. Il bipartitismo è la logica conseguenza di questo sistema che dà l’illusione dell’alternanza, ma che in realtà non fa che perpetuare gli interessi dei ceti dominanti, emarginando dalla vita democratica i ceti intermedi e lavoratori.

All’interno del PD si assiste ad una continua oscillazione tra queste due posizioni: solo così si può spiegare il repentino passaggio dal proporzionale corretto della bozza Violante alla apertura bersaniana alle primarie di coalizione le quali sono in palese contrasto con una concezione all’europea di partito. Perché è chiaro che avviare le primarie adesso significa pregiudicare la possibilità di superamento del porcellum e sbarrare la strada ad una possibile riforma in senso proporzionale, che renderebbe superfluo il ricorso alle primarie medesime.

Inoltre in certi settori di questo partito non è mai scomparsa la predilezione per un sistema elettorale a doppio turno, con tutte le insidie che questo comporta. Non solo riguardo alla partecipazione al voto che di norma risulta sempre più bassa al secondo turno che al primo, ma riguardo anche ad altri due ordini di ragioni.

Il sistema maggioritario a doppio turno, contrariamente a ciò che comunemente si crede, finisce con il favorire la frammentazione ed il potere contrattuale dei piccoli partiti che possono influire sui collegi contesi al secondo turno, inscenando quel poco nobile marché aux bestiaux che avviene tra il primo e il secondo turno Oltralpe.

In secondo luogo, dopo le amministrative parziali di maggio si è avuto la conferma che il centrodestra ha aperto al sistema elettorale a doppio turno solo come grimaldello per il presidenzialismo. La conversione improvvisa del centro destra al doppio turno non è avvenuta per il sistema elettorale in quanto tale, una modalità di voto che ha quasi sempre penalizzato lo schieramento conservatore, bensì per estendere la riforma al sistema di governo, per passare dall’attuale forma di governo di tipo parlamentare ad una repubblica di tipo semipresidenziale. Ma poiché quello francese è tutt’altro che un sistema “semi” presidenziale, trattandosi di una forma di presidenzialismo senza le garanzie che presenta il modello presidenziale statunitense, è chiaro che l’obiettivo del centro destra è quello di un sistema presidenziale molto sbilanciato sulla figura del Capo dello stato.

Si fa in fretta a dire “eleggiamo il sindaco d’Italia”, ma la formulazione giuridica di questo slogan farà fatica ad evitare una impostazione presidenziale plebiscitaria non degna di una democrazia occidentale, come peraltro già avviene negli enti locali, dove i problemi di democrazia, di rappresentanza, di moralità prodotti dall’elezione diretta dei capi degli esecutivi restano avvolti in una ingiustificabile cappa di silenzio finché non si avrà il coraggio di fare un bilancio di cosa non ha funzionato dal 1993 ad oggi.

Print Friendly, PDF & Email

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.