Legge elettorale, parte importante di un nuovo riformismo

Dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha sbarrato la strada alla via referendaria  per la  modifica della legge elettorale si impone la ripresa di una forte iniziativa politica, come auspicato in più occasioni dal Capo dello Stato Napolitano. La legge elettorale deve essere cambiata perché non è più proponibile l’ipotesi di tornare al voto con il sistema attuale, vigente dal 2006, caratterizzato dal “premio di maggioranza” e dalle “liste bloccate”.

Credo che la sentenza della Consulta abbia di fatto evitato due pericoli. Il primo è quello di scongiurare il rischio di una nuova rilegittimazione popolare della legge elettorale n. 270/2005, meglio nota come porcellum, già uscita indenne dai referendum del 2009 quando la campagna referendaria ottenne la più classica eterogenesi dei fini, finendo col rafforzare quanto avrebbe voluto superare.
Il secondo pericolo evitato è stato quello del ripristino del mattarellum, quel sistema elettorale che ha avuto così tante responsabilità nella crisi della politica e delle istituzioni negli ultimi diciotto anni. Il mattarellum infatti può essere considerato il “padre” del porcellum, poiché le liste bloccate, pur solo nella misura del 25%, vennero introdotte da questa legge elettorale e gran parte dei parlamentari eletti nel restante 75% uninominale furono “paracadutati” in collegi sicuri. Inoltre, solo un parlamento “eletto” in tal modo, nominato in larga parte dai vertici dei partiti, avrebbe mai potuto votare una pessima legge come il porcellum.
Il mattarellum nel 1994 con la reintroduzione del collegio uninominale ha riportato all’indietro le lancette della politica italiana, facendo tornare in auge il malcostume del trasformismo parlamentare e di un nuovo notabilato non più su base esclusivamente di censo ma anche di possibilità di accesso al “circo” mediatico, in quegli anni ancora dominato dalla televisione.
Va anche ricordato, in tempi di campagne di stampa sommarie sul ruolo delle province – che sono da difendere come istituzioni, anche se è giusto chiederne una razionalizzazione di funzioni e di numero – che fu proprio nel periodo in cui era vigente il mattarellum che si registrò un deciso aumento della proposta di istituzione di nuove province. Questo è avvenuto perché quel tipo di  collegio uninominale previsto dal mattarellum incentivava quei parlamentari eletti in centri importanti ma non capoluoghi di provincia, a chiedere la promozione del comune capofila del loro collegio al rango di provincia.

Dunque, nessun rimpianto per il mattarellum, ma ciò che importa ora è uno straordinario impegno per superare il porcellum, dal quale possa delinearsi una ricomposizione del quadro politico, “balcanizzato” da diciotto lunghi anni di sistema maggioritario che si sono dimostrati del tutto funzionali alla strategia populista e plebiscitaria della destra, rafforzata oltremisura da una nuova conventio ad excludendum ai danni del centro, quel patto scellerato tra la “gioiosa macchina da guerra” della sinistra e la destra post fascista, che è stato a fondamento di questa ormai defunta “seconda repubblica” e del suo indiscutibile emblema, Silvio Berlusconi.
La discussione sulle proposte di riforma della legge elettorale costringe le forze politiche, e le loro diverse componenti interne, a svelare la loro identità e finisce per coalizzarle trasversalmente tra coloro che propugnano una concezione mite della politica e che puntano ad un bipolarismo sostanziale, politico capace di garantire l’alternanza di governo, e tra quanti invece intendono continuare l’esperienza della radicalizzazione dello scontro politico intrapresa dal 1994 in poi, accompagnata da un bipolarismo fazioso quanto vuoto e fittizio perché incapace di consentire alleanze tra progetti politici affini, preferendo spaccare artificialmente, e contro ogni logica, l’articolato sistema politico italiano in due.
Ma con il nuovo clima politico da cui è scaturito il governo Monti, che di fatto ha archiviato lo schema della “seconda repubblica”, paiono esserci le condizioni per imbastire una seria proposta di riforma della legge elettorale in senso proporzionale, con quei correttivi mutuabili dai modelli spagnolo e tedesco, come autorevolmente proposto su queste colonne dal costituzionalista dell’Università Cattolica Vincenzo Satta e ribadito dal Forum delle associazioni di ispirazione cattolica nel mondo del lavoro.
Ciò con l’obiettivo di ridare adeguata rappresentanza alle istanze dei ceti lavoratori e delle fasce intermedie della società, di frenare il loro progressivo impoverimento e di contribuire ad invertire la tendenza all’aumento delle disuguaglianze.
Infatti, i sistemi maggioritari tendono a valorizzare le oligarchie a scapito di una selezione dal basso, dalle classi popolari, dei gruppi dirigenti  ed a riflettere nelle gerarchie politiche le gerarchie economiche che si sono formate in questi nuovi “anni ruggenti” della finanza speculativa che hanno preparato l’attuale disastro economico e sociale. In una fase di sconvolgimento della stessa composizione della società c’è bisogno di ridare una forte rappresentanza ai ceti lavoratori per evitare che il tracollo della classe media trascini con sé anche quello del nostro modello democratico.
Per queste ragioni il dibattito sulla legge elettorale, che può apparire astruso e per addetti ai lavori, costituisce in realtà un tassello importante ed imprescindibile per una nuova strategia riformista la quale, in questo delicatissimo  2012 – per il Paese, per l’Occidente – permetta di individuare per tempo la necessità di scelte che sembrano ancora disdegnate dal pensiero dominante, prima che queste si impongano per stato di necessità e siano gestite da forze che non diano sufficiente garanzia di affidabilità democratica.

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