Scrittori dal carcere, il caso di Opera

Il circuito carcerario è uno dei luoghi più contraddittori del nostro Paese. A fronte di una situazione “strutturale” drammatica (con risvolti anche di vere e proprie tragedie, fra i detenuti e fra le guardie), c’è un pullulare di “fatti umanizzanti”, che vanno nella direzione indicata dalla Costituzione che all’articolo 27 prevede che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Ed ecco che allora sorgono iniziative, su richiesta per lo più di enti esterni e con l’assenso, a volte l’incoraggiamento (stavo per scrivere la “complicità”) di direttori, uomini e donne, sensibili e illuminati. Si va da lezioni scolastiche o incontri culturali o pubblicazione di giornali, a cooperative di detenuti che si dedicano al catering, a incontri di preghiera ecumenici (per rispetto della varietà della popolazione carceraria).

Le Edizioni della Biblioteca Francescana hanno da poco editato un bel volumetto dal titolo azzeccatissimo “Parole che sprigionano” (risultato di un progetto della Sesta Opera di San Fedele, pagg 172, 14 euro), in cui sono riportati brani di “scrittori del carcere di Opera-Milano”, e che si fregia della importante prefazione di Valerio Onida, presidente emerito della Corte Costituzionale. Hanno curato la scelta Paola Maria Arzenati, Giorgio Faravelli, Francesco Ferraresi, Pierfrancesco Ferrazzini e Claudio Saibene. Oltre a quelli dei detenuti, sono stati inseriti – a far da contrappunto – brani di scrittori diversi, da Lalla Romano a Tomasi di Lampedusa, da Etty Hillesum a Dostojevskij, da Panikkar a Italo Calvino.

E’ una lettura che consigliamo, per capire un po’ di più l’umanità che vive dietro le sbarre, le tensioni fra il male fatto e il bene sperato che là dentro si vive, la capacità di affrontare a viso aperto i maltrattamenti, le incomprensioni, la difficile convivenza; ma c’è anche la saggezza acquisita e persino una certa tensione morale che nonostante tutto là dentro spira. Non sono pagine per educande, ci sono passaggi duri, ma che hanno la capacità di farci fermare a ragionare. Ecco, non è un esercizio genericamente “buonista”, nessuno sconto viene fatto, ma appunto si tratta di ragionare, di capire e poi – se si riesce – di condividere.

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