Oltre il berlusconismo, oltre la “seconda repubblica”

Che l’attuale legge elettorale n. 270/2005, meglio nota come porcellum, abbia esautorato gli elettori delle loro prerogative e contenga più di un elemento di contrasto con la Costituzione è ormai un giudizio largamente condiviso nel Paese, sul quale concordano anche numerosi ed autorevoli costituzionalisti. Tuttavia, finché non matureranno le condizioni politiche per cambiare questa legge, si rimane nell’ambito delle discussioni accademiche. Il porcellum, infatti, è il salvagente che tiene a galla l’attuale maggioranza di governo e la sua sorte dipende da quella dell’alleanza tra la Lega Nord e il Pdl. Solo nel caso in cui questa dovesse saltare, diverrebbe d’attualità il tema del cambio della legge elettorale.

Non per questo però si deve rinunciare oggi a porsi il problema di definire un orientamento sull’argomento. In questo clima di sfilacciamento che caratterizza gli ultimi passi di questa “seconda repubblica”, riemerge puntualmente come nel 1992, ma in maniera molto più “scientifica”, un pesante attacco della speculazione finanziaria internazionale contro il nostro Paese.

Un motivo in più, anzi uno dei motivi principali, per definire una proposta di legge elettorale che restituisca la sovranità agli elettori e faccia recuperare dei margini di sovranità al Paese.

Non è questione di preferire un sistema elettorale all’altro, e neanche di optare per una delle due nuove proposte di referendum elettorale, quella del sen. Passigli o quella dell’on. Castagnetti. Infatti, nonostante il successo dei recenti referendum del giugno scorso, il primo dopo sedici anni di insuccessi per mancanza di quorum, non vi è alcuna ragionevole garanzia che una simile affluenza alle urne possa ripetersi in futuro. Ma soprattutto, entrambe le proposte sembrano riproporre il ritorno a modelli del passato, il proporzionale puro della “prima repubblica”, in un caso, il “mattarellum” nell’altro. Tali sistemi hanno dimostrato la loro inadeguatezza di fronte alle nuove esigenze di governabilità e di rappresentanza che si manifestano nella società attuale.

A volte si ha l’impressione che il dibattito sui temi istituzionali sia rimasto fermo agli anni Novanta. Il mondo da allora è cambiato profondamente. Ai nostri giorni, non è più immaginabile che alla guida delle nazioni si possa innestare il pilota automatico costituito dal “pensiero unico”. Guadagnano peso sul piano internazionale quei Paesi che si dimostrano più capaci di reagire ai guasti economici e sociali prodotti dal primato della speculazione finanziaria sull’economia e sulla politica che ha caratterizzato l’ultimo ciclo neo-liberista.

Quei modelli che pongono l’accento solo sulla scelta di un capo, sulla personalizzazione della politica, e su un bipolarismo garantito esclusivamente dalle regole elettorali, le quali sostanzialmente difendono l’alternanza tra “uguali”, quali esecutori delle strategie delle élites economico-finanziarie, e non un bipolarismo vero fondato sulla diversità dei progetti politici, appaiono antiquati e inadatti per una società che in questo secondo decennio del Duemila deve contrastare la costante caduta dei ceti intermedi.

Dunque, ciò che più conta in questo dibattito è definire un orientamento su come passare dall’attuale modello plebiscitario, in cui l’elezione è ridotta ad un referendum che conferma i sondaggi, sulla scelta del Capo, ad un modello più rispettoso dei canoni della democrazia, basato sulla rappresentanza, nel quale il voto è una semplice delega, data non in bianco, non solo una volta ogni cinque anni, ma passo dopo passo, ad ogni tornante significativo della vita politica. Peraltro, è evidente che nel modello plebiscitario contano le élites, forti economicamente, socialmente ma ristrette nei numeri, mentre nel modello fondato sulla rappresentanza contano un po’ di più anche i valori e gli interessi dei ceti lavoratori, sempre più deboli economicamente, ma forti nei numeri, essendo la principale componente sociale.

La scelta è quindi tra l’ ”accanimento terapeutico” per allungare l’agonia di questa “seconda repubblica”, con il prefigurasi del rischio della prosecuzione di un berlusconismo oltre Berlusconi, e una strategia che si ponga il problema della successione al sistema di questi ultimi diciotto anni la cui più coerente immagine è stata il berlusconismo.

In quest’ultima direzione, credo si inserisca la proposta del professor Satta, che anima il dibattito su Agenda Domani, poiché difende la governabilità e il bipolarismo, con degli opportuni correttivi al proporzionale e nel contempo favorisce una buona rappresentanza. Con ulteriori interventi, inoltre, si potrebbero valorizzare le alleanze da proporre prima del voto, ma lasciando l’ultima parola solo al corpo elettorale. Come peraltro avviene nel Regno Unito, patria dell’uninominale maggioritario, dove alle ultime elezioni politiche i conservatori si sono presentati agli elettori proponendo un tipo di governo, ma non avendo conseguito la maggioranza assoluta dei seggi, dopo il voto, hanno dato vita all’alleanza compatibile con le scelte degli elettori, con i liberaldemocratici. Il bipolarismo può essere solo politico, non il risultato di artifici elettorali e le alleanze vanno bene se vengono proposte prima del voto: quando esse ottengono la maggioranza dei seggi si trasformano in maggioranze di governo, altrimenti ci deve essere la possibilità di dare vita in parlamento alle alleanze che si profilano attraverso il voto.

Percorrendo la via indicata dal prof. Satta soprattutto, si creano i presupposti per un nuovo assetto istituzionale, per rinnovare la nostra democrazia parlamentare, togliendo spazio alle ipotesi presidenzialiste. Si inizia a progettare la nuova fase che si avvierà dopo il tramonto politico di Berlusconi, che porterà anche verosimilmente all’esaurimento di questa “seconda repubblica”.

Una nuova fase nella quale non potrà essere rimesso in discussione un legittimo e responsabile pluralismo politico dei cattolici. Questo dipende non dalle leggi elettorali bensì dai processi politici. Un significativo assembramento dei cattolici impegnati in politica in una formazione che raccolga lo spazio politico in questi anni occupato da Berlusconi, infatti, non potrà che essere il risultato non di chissà quali manovre ecclesiastiche, ma solo di un clamoroso errore politico del Partito Democratico, che invece ha tutte le carte in regola per trasformarsi lui stesso in un grande partito capace di parlare a tutta la nazione, per insediarsi al centro della scena politica italiana, dandosi però un’identità “plurale” nella quale una buona parte di quei cattolici che guardano naturalmente alla famiglia politica del PPE, possa costituirne uno dei filoni fondamentali.

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