Un mercato immobiliare accessibile ai lavoratori e alle fasce più deboli

La vicenda della famiglia rom sfrattata da via Parini a Gorgonzola (Mi) ci obbliga a riflettere sia sulla questione della casa che su quella dell’abitare la città. Innanzitutto vorrei abbassare la soglia del pregiudizio che in genere ci colpisce quando sentiamo parlare di rom e della loro presenza in città. L’ uso di questo termine è estremamente abusato per aumentare i decibel della polemica trovando facili interlocutori in chi guarda alla straniero come un potenziale nemico. E’ necessario evitare semplificazioni, pregiudizi, falsità che rischiano di connettere strettamente l’emigrazione a fenomeni di criminalità e aumentare la paura che i migranti possano indebolire le nostre sicurezze.

Oggi sappiamo che la realtà dell’immigrazione e fatta di famiglie che stabilmente abitano il nostro territorio, di uomini e donne che lavorano, di figli che frequentano le nostre scuole, di lavoratrici domestiche che svolgono un prezioso lavoro di cura nelle nostre case, di lavoratori e lavoratrici invisibili che rendono “competitive” le nostre aziende. La presenza di questi uomini e queste donne ci deve più mobilitare che impaurire, spingerci all’immaginazione di forme possibili di coesione anziché a una chiusura difensiva delle nostre città.

La loro inclusione richiede una forte responsabilità nella costruzione della città, in primis di chi ha la responsabilità amministrativa per porre le giuste condizioni perché ogni persona possa godere senza limitazioni di tutti i suoi diritti e per chi è immigrato al pieno rispetto delle regole dovere di ogni buon cittadino, un rispetto che deve passare per il convincimento e la pazienza e non per la brutale imposizione

Chi abita in città con forti tradizioni di solidarietà e accoglienza, è chiamato a impegnarsi ad integrare e accogliere il nuovo, mostrando che è possibile una convivenza rispettosa delle leggi e estranea alle prepotenze, ma anche a chiedersi se è possibile immaginare un progetto di integrazione senza rispondere a un bisogno primario della persona; quello della casa.

Oggi per chi è povero o straniero trovare una casa è un incubo. La forte perdita del potere d’acquisto dei salari rende complesso sottoscrivere contratti d’affitto come la forte precarizzazione che colpisce soprattutto i giovani e rende estremamente difficile l’accesso ai mutui per l’acquisto dell’abitazione.

Chi è senza casa non diventa un cittadino. C’è urgente bisogno di dare una risposta al problema della casa, non si può ritardare oltre. Casa e abitanti sono due punti che vanno rimessi in armonia e coniugati insieme a un terzo punto; quello di un mercato capace di offrire case accessibili alle possibilità di normali lavoratori.

Per fare questo bisogna riaffermare l’idea che la casa non è una semplice merce ma un bene che crea le condizioni per una vita buona degna di essere vissuta in tutte le condizioni e le stagioni della vita e che permette di abitare civilmente in una comunità. Mi piacerebbe allora che questa vicenda ci porti a dar vita a “tavoli” per studiare e incominciare a mettere in atto un progetto sulla questione della casa e dell’abitare, anche perché non mi sembra che sino ad oggi il tema casa sia molto presente nei dibattiti e nelle questioni aperte nelle nostre città.

Angelo Stucchi – Presidente Circolo Acli Luigi Mandelli Gorgonzola

 

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