Regionali Lombardia e Lazio: la politica di fronte all’astensione che si consolida

La democrazia dell’astensione che sta prendendo forma non deve indurre alla rassegnazione, a una sua incosciente accettazione.
La maggioranza assoluta di elettori astenuti significa che c’è un fiume carsico di consenso che è pronto a riaffiorare in modi diversi e imprevedibili.

Qualunque considerazione sull’esito delle scorse elezioni regionali in Lazio e Lombardia credo non possa non partire dal severo responso costituito dall’astensione, in media nelle due importanti regioni al 60%. Un richiamo alla politica, come lo ha definito il cardinal Parolin, un dato vistoso che al netto di una astensione fisiologica rende comunque maggioranza assoluta, rispetto ai votanti, coloro che hanno scelto di non (più) partecipare al voto.
Sono certo molte e complesse le cause che hanno determinato una così ampia disaffezione alle urne. Le principali cause probabilmente si possono ricercare sia nelle caratteristiche di un regionalismo da riformare che nella crisi che investe la politica, i partiti, i corpi intermedi.

Chi ha vinto queste elezioni, il centrodestra, la coalizione del governo nazionale, dovrà innanzitutto cercare con le opposizioni un terreno comune per fare fronte insieme al deficit di rappresentanza che investe degli organi regionali scelti da un numero così basso di elettori, sapendo di aver ricevuto il consenso che legittima a governare da non più di un quinto del corpo elettorale.
Inoltre in Lombardia e Lazio l’elezione diretta del presidente non ha impedito una partecipazione al voto così bassa. Un dato da tenere presente anche rispetto al dibattito sulle proposte di riforma della Repubblica in senso presidenziale.
In regioni così grandi come quelle interessate dal voto di domenica scorsa, si è potuto rilevare anche che il deficit di governo di area vasta, aggravato da una pasticciata riforma delle province, finisce per ripercuotersi sul livello regionale, risultando insufficiente il collegamento tra il livello di governo più vicino al cittadino, quello municipale, e le regioni. Ripristinare l’elezione a suffragio universale degli organi delle province e delle città metropolitane, dotandole delle risorse sufficienti a sopperire alle loro competenze, può contribuire a riannodare il legame fra cittadini e istituzioni.

Fra le maggiori cause della tendenza dell’elettorato all’astensione, rivelatasi già forte alle scorse politiche e consolidatasi nel voto delle due regioni del Nord e del Centro, va annoverata anche la crisi della politica e dei partiti. Una crisi organizzativa e di iniziativa politica. Al posto dei partiti di massa del Novecento in Italia stenta a consolidarsi un sistema di partiti capaci di praticare la democrazia interna, anziché dipendere dai loro capi, di una presenza capillare nella società, che le nuove tecnologie digitali, avrebbero dovuto accrescere e non ridurre, e comunque non sostituire in modo virtuale.

Ma la politica dei partiti attuali appare in crisi soprattutto riguardo alla sua capacità di coinvolgere i cittadini nel portare all’attenzione pubblica i problemi, nel cercare risposte alle questioni poste dall’avvento delle nuove tecnologie, nel sensibilizzare le diverse classi sociali a una sostenibilità che per essere giusta e supportata a livello popolare deve essere integrale, deve guardare innanzitutto all’impatto sulla società delle nuove forme di organizzazione dell’economia e dello sfruttamento dell’energia, il meno impattanti possibile sull’ambiente.

Per fare questo serve una politica che dia meno peso alle ideologie vecchie e nuove, sempre a rischio di involuzioni totalitarie, che recuperi il valore del pluralismo dei punti di vista, degli approcci diversi, o addirittura antitetici ai problemi, sapendo come ci ricorda il pensiero tomista, che ogni opinione porta comunque con sé un tassello di verità che concorre a definire insieme il bene comune.
Un compito che non può esser lasciato solo ai partiti ma che si realizza anche con l’apporto del mondo della cultura, quello della comunicazione e con la capacità di mettere a tema nel dibattito politico ciò che si dispiega nella società da parte dei corpi intermedi. Le organizzazioni sociali hanno un ruolo primario in tale compito perché, come non si stancava mai di ricordare un grande maestro di educazione alla politica come Giovanni Bianchi, sempre la politica nasce da quel che politico non è, il suo compito è dargli forma.

La democrazia dell’astensione che sta prendendo forma non deve indurre alla rassegnazione, a una sua incosciente accettazione.
La maggioranza assoluta di elettori astenuti significa che c’è un fiume carsico di consenso che è pronto a riaffiorare sia per dare sostegno a progetti che sappiano coniugare gli interessi di tutte le classi sociali, a cominciare da quelle maggioritarie, lavoratrici e popolari, con le molteplici e cruciali sfide di questo cambiamento d’epoca in corso, sia, ed è il maggior pericolo da scongiurare, per confluire su sempre possibili uomini della provvidenza pronti a sfruttare una sfiducia e un disagio sociale, che abbiamo il dovere di contrastare per impedire che diventino dilaganti.

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