75 anni di una Costituzione da difendere

Ci saranno sicuramente, nel corso dell’anno, parecchie occasioni ufficiali per ricordare il 75° della Costituzione, però la serata sanremese di Roberto Benigni, di fronte al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è stata davvero un bel momento. Con la passione che lo contraddistingue, l’artista toscano ci ha lanciato un messaggio su cui siamo chiamati a riflettere.

Da tre quarti di secolo la nostra Carta costituzionale rappresenta la trama della nostra convivenza civile e democratica. I valori che la informano accompagnano il nostro vivere, tutti insieme, come grande comunità nazionale nelle sue molteplici articolazioni e differenze. E’ davvero la casa di tutti gli italiani: lo è oggi, lo era ieri e lo sarà certamente domani.

Benigni ha preso ad esempio l’art. 21 sulla manifestazione del pensiero in piena libertà. Qualcosa che a noi, abituati come siamo ad un Paese libero e una società democratica, non facciamo più caso e che invece è il frutto di una faticosa conquista. Un diritto soppresso durante l’epoca fascista e ancor oggi assente in larga parte del mondo.

Ma non c’è solo questo a caratterizzare la nostra Carta. Pensiamo all’art. 11 con il ripudio della guerra. Verbo inusuale quel ripudiare, distante dal nostro linguaggio quotidiano ma di rara forza a sancire la totale estraneità delle nostre istituzioni o, per meglio dire, della nostra nazione in quanto comunità a qualsiasi impresa bellica offensiva. Un principio di cui oggi, con una guerra ai confini europei, ancor di più comprendiamo l’importanza.

I primi dodici articoli della Costituzione gettano le basi del nostro ordinamento, enunciandone i principi fondamentali. Enorme la caratura dell’art. 2: <<La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo>>. Una protezione non solo in quanto singolo individuo ma anche <<nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità>>: ovvero in tutti quei luoghi ove ciascuno si trova a vivere assieme agli altri, cominciando dal mondo del lavoro.

Altrettanto straordinaria la portata dell’art. 3 che, dopo aver sancito la pari dignità e l’uguaglianza di tutti i cittadini senza distinzioni di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche e sociali, impegna la Repubblica <<a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e la eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana>> nella vita politica, economica e sociale del Paese. Un preciso compito, dunque, per la classe politica in direzione di una società solidale ed inclusiva.

A questi due capisaldi che delineano la concezione di società promossa dalla Carta, possiamo aggiungere l’art. 32 che tutela la salute sia come fondamentale diritto dell’individuo (e da qui scaturisce il senso stesso di un servizio sanitario pubblico, gratuito ed universale) sia come interesse della collettività (a fornire piena legittimità, come è accaduto con il Covid, ai piani vaccinali a per proteggere la popolazione, specie quella più debole).

Autentica leva di promozione sociale è poi l’art. 36 con il diritto ad una retribuzione sufficiente <<ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa>>. Evidente il richiamo ad un salario minimo per legge: soglia sotto la quale non si possa mai scendere. E infine non si può sottacere l’art.41 che vincola la libera iniziativa economica dei privati – attività certo meritevole di continua attenzione – al rispetto della sicurezza e della dignità umana, nonché alla tutela dell’ambiente.

Siamo insomma di fronte ad un mosaico composto da tanti tasselli il cui filo conduttore è la centralità della persona umana, posta a fondamento di una società libera, democratica e solidale. Un fondamento che non è di destra o di sinistra ma referenza universale per orientare il nostro avvenire, il nostro vivere in comune come nazione. Difendere e sentire propria la Carta costituzionale, valorizzandone i principi e attuandone le parti incompiute: questo l’impegno della classe politica. L’umore malmostoso di fronte alla prolusione di Benigni al teatro Ariston fa invece pensare che larga parte di questa destra non senta come proprio questo impegno. Magari è solo un’impressione e a pensar male si fa peccato. Però – diceva Giulio Andreotti – spesso si indovina.

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